American Vampire n. 4 – Recensione
Pubblicato il 8 Dicembre 2012 alle 10:39
Tornano le terrificanti avventure di Skinner Sweet, il primo Vampiro Americano! Tra le praterie desolate del selvaggio west e l’America profonda degli anni cinquanta, arriva il nuovo capitolo della saga Vertigo ideata da Scott Snyder!
American Vampire n. 4
Autori: Scott Snyder (testi), Jordi Bernet, Rafael Albuquerque (disegni)
Casa Editrice: RW-Lion
Provenienza: USA
Genere: Horror
Prezzo: € 17,95, 16,8 x 25,6, pp. 160, col.
Data di pubblicazione: novembre 2012
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Quando anni fa Karen Berger decise di varare la linea for mature readers della DC e cioè la Vertigo propose comic-book già facenti parte del settore mainstream della casa editrice e contrassegnati da atmosfere terrificanti. Molti di essi in effetti furono presentati come horror ma si intuiva che questo era solo uno degli elementi narrativi e che c’erano influenze di altri generi come il fantasy, il noir, il mystery e così via. E in seguito la Vertigo ha pubblicato e continua a pubblicare opere di varia natura.
American Vampire è horror, considerando che la tematica è quella dei vampiri. Però, forse in ossequio alla tradizione Vertigo, l’autore Scott Snyder si è fatto suggestionare da altri tipi di narrazione, realizzando un prodotto ibrido che fa delle situazioni raccapriccianti solo uno degli ingredienti delle sceneggiature. Gli episodi iniziali, scritti parzialmente dal maestro del brivido Stephen King, lo chiarivano. Le origini del protagonista della testata, Skinner Sweet, il primo vampiro americano, risalivano all’epoca dei pionieri e nel delinearne le vicende King si ispirò al western e ai cosiddetti ‘dime novels’ dell’era pulp.
In seguito Snyder ha ideato story-line collocate in differenti periodi storici. Per esempio, una sequenza era ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale e, se si escludeva la presenza dei vampiri, poteva benissimo essere considerata una war story. Il mix eterogeneo di stili, quindi, è una delle caratteristiche essenziali di American Vampire. A ciò si deve aggiungere un ampio cast di personaggi che spesso si rivelano importanti quanto e più di Skinner Sweet, al punto che, episodio dopo episodio, l’autore sta costruendo un universo narrativo vasto e articolato.
Non tutto è rosa e fiori, però. In passato ho affermato che American Vampire, pur interessante, è discontinuo. Ho trovato alcune story-line riuscite; altre noiose. Ma non è il caso di quelle del quarto tp che include i nn. 19-25 del comic-book originale. Tali storie sintetizzano degnamente ciò che ho scritto nell’introduzione. Finora abbiamo avuto poche notizie sul conto di Skinner Sweet, a parte che si tratta di un succhiasangue crudele e privo di scrupoli e che si comporta diversamente dagli aristocratici vampiri europei, accettando il capitalismo dell’American Way of Life. Ma sebbene Stephen King avesse narrato le gesta passate, non si sa ancora niente sulle sue origini.
Snyder ce lo presenta in pieno Far West, quando non era un vampiro ma un ragazzo già ribelle e dal carattere poco accomodante. Si scopre l’esistenza di un amico di infanzia che assume la valenza di un fratello e si prosegue con i due che, una volta cresciuti, si arruolano nell’esercito. La trama è western e non mancano indiani, sparatorie, inseguimenti nelle praterie e tutto ciò che ci si può aspettare da una trama simile. Però, in un curioso gioco di contaminazioni, Snyder introduce la figura di una splendida e sexy indiana, per giunta una famelica vampira, adorata dai pellerossa alla stregua di una divinità demoniaca. La vicenda è narrata dai protagonisti in una riuscita alternanza di monologhi. Conosciamo poi un lato inedito di Skinner Sweet: una parvenza di umanità che successivamente, nella sua esistenza vampiresca, scomparirà. Ma Snyder, con intelligenza, non fa ulteriori rivelazioni e la conclusione ha un’aura di mistero.
Nella seconda story-line, invece, Snyder si concentra sulla profonda America degli anni cinquanta, con il clima repressivo da guerra fredda, la nascita del rock’n’roll e le prime avvisaglie delle imminenti ribellioni giovanili. Il conflitto generazionale tra ragazzi e adulti è il tema dominante (e ricordiamo che il termine teenager, con tutto ciò che ne consegue a livello sociologico, nasce in quegli anni) e Snyder gioca con simili concetti, introducendo Travis Kidd, un epigono di Elvis Presley, James Dean e Marlon Brando. Apparentemente è uno scapestrato ma di fatto un cacciatore di vampiri affiliato ai Vassalli della Stella del Mattino che appaiono pure nella sezione western. Non mancherà Skinner e anche in questi capitoli l’autore usa i monologhi, costruendo una trama ricca di flashback e flashforward e di invenzioni inquietanti, a cominciare da quella di una ragazzina stile Happy Days che all’insaputa di tutti vive con due genitori adottivi vampiri, membri di una congrega di creature delle tenebre infiltratasi nella paranoica provincia statunitense dell’era maccartista.
Quanto ai disegni, il tp è pregevole. Le storie western sono illustrate dal grande Jordi Bernet, già avvezzo a questo tipo di produzioni, che realizza versioni convincenti di Skinner e degli altri character con maestria, rivelando gradevoli reminiscenze del maestro Alex Toth (rammentiamo che fu Bernet a sostituire Toth nella serie Torpedo 1936). La seconda sequenza è appannaggio dell’abituale Rafael Albuquerque. Anche lui fa un lavoro sopraffino con lo stile graffiante e sporco che lo contraddistingue, perfetto per le situazioni da slasher movie immaginate da Snyder, e con una sapiente costruzione della tavola.
Questo è uno dei volumi migliori di American Vampire, serie che, lo ripeto, è discontinua ma impreziosita da una straordinaria miscellanea di ispirazioni.