Kizazi Moto, intervista ai registi: “Non c’è solo Wakanda nella nostra Africa futuristica”
Si tratta di 10 corti che mostrano in modo diverso un'Africa futuristica.
Pubblicato il 6 Luglio 2023 alle 11:00
Arrivano come un fulmine a ciel sereno i 10 corti dell’antologia animata intitolata Kizazi Moto: Generazione di Fuoco. Dal continente africano con furore per raccontarsi per la prima volta in modo nuovo. Dal 5 luglio sul servizio streaming, con il poster realizzato da uno dei registi, l’artista nigeriano Shofela Coker, creatore del cortometraggio Moremi. L’antologia propone 10 punti di vista diversi su un tema comune, quello di un’Africa futurista.
I Paesi coinvolti sono: Egitto, Kenya, Nigeria, Sudafrica, Uganda e Zimbabwe. Kizazi Moto: Generazione di Fuoco promette di portare gli spettatori in un viaggio indimenticabile nel futuro dell’Africa, presentando visioni del continente mai viste prima, attraverso suggestioni sci-fi e fantasy.
A capo del progetto il co-regista di Spider-Man: Un Nuovo Universo Peter Ramsey insieme ai produttori Tendayi Nyeke e Anthony Silverston di Triggerfish Studio. Abbiamo incontrato Silverston e alcuni dei registi su Zoom, ecco cosa ci ha raccontato nella nostra intervista per Kizazi Moto.
Kizazi Moto, intervista ai registi della serie animata Disney Plus
Iniziamo dal titolo, Kizazi Moto, perché lo avete scelto?
Anthony Silverston – Produttore: Abbiamo fatto vari brainstorming a riguardo ma alla fine penso riassuma bene lo spirito dell’antologia e del progetto. In swahili significa proprio “Generazione di Fuoco”. Si trattava di presentare questa nuova generazione di registi africani al mondo, aveva la giusta energia proprio come quella che portavano loro.
Finalmente un nuovo punto di vista sull’Africa da far vedere al mondo. Ho visto un sacco di influenze da parte del Wakanda nei corti, soprattutto in Herderboy o Mukudzei, o sbaglio?
Pious Nyenyewa – Regista di Mukudzei (Zimbabwe): Direi sì e no, perché questo è sempre stato il punto di vista della nostra esperienza. Sicuramente il Wakanda ha definito come dovrebbe apparire un’Africa fantascientifica, ma nel nostro film abbiamo cercato di tenerci lontani da quell’influenza per quanto possibile. La tecnologia è comunque sempre influenzata dalla cultura, e il Wakanda è ispirato proprio dallo Zimbabwe da dove veniamo noi, quindi in un certo senso c’è una chiusura del cerchio.
Noi abbiamo pensato a come sarebbe potuto apparire uno Zimbabwe futuristico, in modo che le persone vi si potessero relazionare. Abbiamo cercato di evitare il marrone e le sue sfumature perché di solito ci vengono associati i “colori sporchi”. Quindi abbiamo optato per il viola e il blu e loro derivati. Alla fine penso emerga quello che verrebbe fuori in una città futuristica abitata da neri, con lo stesso rispetto se diventassero futuristiche Parigi, Tokyo o New York e bisognasse rappresentarne appunto l’estetica.
Raymond Malinga – Regista di Herderboy (Uganda): Per me si tratta di un bellissimo complimento (ride). Allo stesso tempo mi sento di dire che i nostri corti sono quello che Dune è per Star Wars, ad esempio. Penso che d’ora in poi il metro di giudizio sarà quello finché non lo sarà più. Penso anche che i nostri film abbiano una sensibilità molto particolare e alcuni dei nostri mostri sicuramente non li vedrete in Black Panther 3 (ride).
Anthony Silverston: Penso anche che banalmente siccome il Wakanda è stata la prima volta che quel tipo di Africa è stata mostrata su scala mondiale, è diventata una reference in automatico. Ora le cose potrebbero cambiare.
Raymond Malinga: Esatto, qualcuno ora magari potrà dire “Questo mi ricorda davvero Herderboy”! (ride)
Ogni corto ha un differente tipo di animazione e colori diversi. Come li avete scelto come registi?
Nthato Mokgata – Regista di Surf Sangoma (Repubblica Sudafricana): Per noi è stata la storia, le risorse, il bisogno di dinamicità, un insieme di aspetti. Per noi la difficoltà principale era creare l’oceano post-apocalittico.
Pious Nyenyewa: Noi sapevamo già che avremmo voluto realizzare Mukudzei in CGI. Stare lontani dal marrone, come ho detto prima, per la palette di colori. Volevamo anche che la nostra animazione aiutasse l’azione della storia, in modo che lo spettatore non avesse un attimo per stare rilassato. Ma c’erano anche i momenti di quiete. Quindi alternavamo il 2D e un’animazione più tradizionale, per i momenti più emozionanti, a qualcosa di molto terreno, poiché ci venne l’idea che lo Zimbabwe fosse stato costruito dagli alieni.
Gli alieni non potevano essere neri e quindi ci voleva una sorta di animazione fotorealistica per ottenere quel risultato, lasciandoci molto liberi coi colori. Il risultato è insomma questo strano ibrido a livello visivo, che magari non si trova da altre parti e per noi è stato il risultato delle risorse che avevamo a disposizione e di ciò che siamo stati capaci di fare come animatori e disegnatori.
Raymond Malinga: Per Herderboy la mia scelta è stata semplice poiché ho uno studio a casa. Se avessi fatto questo corto Disney avrei voluto imparare a realizzare un film di tale portata con delle skills che mi sarei portato con me una volta tornato. In questo senso abbiamo scelto il 3D, mentre per quanto riguarda il colore, le stesse bandiere dei Paesi africani dicono moltissimo delle varie sottoculture, perché rappresentano caratteristiche specifiche. Nel corto quindi c’è un’associazione tra il blu e tra ciò che è contenuto, ma anche ciò che è fresco e vitale, il rosso con il pericolo. Tutti aspetti con cui gli spettatori africani si possono immedesimare e sentire rappresentati, ma anche il resto del mondo.
Anthony Silverston: Per quanto riguarda i corti che hanno utilizzato l’animazione tradizionale, è successo perché molti di quei registi nascono come concept artist.
I corti hanno come protagonisti i giovani di oggi e quindi di domani. È per questo che il progetto si intitola Generazione di Fuoco, perché è la generazione che ha il fuoco dentro e dobbiamo proteggerla?
Raymond Malinga: Per come la vedo io, l’Africa è rimasta bloccata nel tempo troppo a lungo. Quindi è come se fossimo ancora durante il periodo dell’infanzia a livello cinematografico, soprattutto in grandi progetti come questo. Quindi la Generazione di Fuoco è anche quella che finalmente ha l’opportunità di far sentire la propria voce, in un certo senso.
Pious Nyenyewa: Il potere di un film è eccezionale, poiché il pubblico lo guarda per evadere dalla realtà e dalla quotidianità. Quando gli spettatori si siedono al buio è come se abbassassero le difese, e consumano tutto quello che gli viene propinato sullo schermo, a volte venendo influenzati anche nel modo di comportarsi e di vestire, anche a distanza di anni magari.
Quello che abbiamo cercato di fare – siamo relativamente giovani come registi, vero? (ride) – è fare in modo che le nuove generazioni guardino i nostri corti e vedano un’eco che le riguarda e in cui si possono rivedere. Soprattutto per come è sempre stata rappresentata l’Africa finora nell’intrattenimento. Se si riesce a trasmettere l’elemento cool dei nostri corti alle nuove generazioni, li influenzerà anche quando saranno più grandi. Quello sicuramente porterà il fuoco nel futuro.