Video intervista a Zerocalcare: “Strappare lungo i bordi è difficile per qualsiasi generazione”
La serie in sei episodi è disponibile dal 17 novembre sulla piattaforma.
Pubblicato il 19 Novembre 2021 alle 16:37
Strappare lungo i bordi, la prima serie animata di Michele Rech (in arte Zerocalcare) per Netflix, è già un cult. Già in molti ne parlano entusiasti, anche chi aveva trovato un periodo di stanca nell’autore legato indissolubilmente a Rebibbia e lo ha riscoperto/ritrovato grazie alla versione animata (anche noi siamo entusiasti come potete leggere dalla nostra recensione). Una serie che parla di una generazione ma che in realtà parla di un sentire comune, con cui non tutti sono bravi a sopravvivere.
Da oggi venerdì 19 novembre è disponibile anche la colonna sonora composta dall’amico Giancane, che ha curato anche la sigla (già cult anche quella) del serial (qui i dettagli). Per l’occasione abbiamo incontrato il fumettista su Zoom dove ci ha raccontato del suo possibile necrologio, della precarietà di una generazione, di un divano di spade e di qualche aneddoto su Secco, come potrete leggere (e vedere) in questa video intervista a Zerocalcare.
Video intervista a Zerocalcare: “Strappare lungo i bordi è difficile per qualsiasi generazione”
Parlare con Zero, anche a distanza su Zoom, è come prendere un caffè con un amico al bar, come potrete capire dalla nostra video intervista a Zerocalcare.
Dato che hai in uscita sia la serie animata che il libro, sulla tua lapide cosa preferiresti ci fosse scritto tra: “quello delle locandine punk”, “quello dei disegnetti” e “quello dei cartoni animati”?
“Quello delle locandine punk”, perché sono le uniche che non mi hanno mai posto di fronte a vergogne o contraddizioni in generale nella vita.
Sei stato spesso definito la voce di una generazione. In un episodio della serie si vede come sembra che le generazioni dopo la nostra (quella degli anni ’80-’90, ndr) siano più brave di noi ad affrontare la vita. Secondo te è vero e come mai, quanto è difficile per noi strappare lungo i bordi?
Io penso che ogni generazione abbia i suoi scogli e le sue super difficoltà nell’affrontare la vita. Mi sembra però che la nostra nello specifico è quella che ci è trovata lo scarto più grosso tra quelle che erano le nostre aspettative – anche per i modelli che avevamo – e quella che è la realtà come ci si è presentata poi effettivamente nel mondo del lavoro e non solo. Chi è arrivato dopo in qualche modo è cresciuto più smaliziato e disilluso di noi, che siamo un po’ i facioli che hanno dovuto sbatterci il grugno.
Vedendo la serie appare chiaro come questa storia poteva essere raccontata in modo così efficace solo in versione animata, proprio per il movimento che questa comporta, con alcune trovate geniali come la sigla di una certa serie rifatta e contestualizzata. Queste trovate sono tutte idee che avevi nel cassetto da tempo ma aspettavi un più efficace strumento per raccontarle oppure ti sono venute tutte (più o meno) creando la serie?
Dipende. Quella trovata a cui fai riferimento tu in realtà era nata per un fumetto, che avevo già iniziato a disegnare, ma da tanto, però mi sembrava che non funzionasse mai bene, perché a fumetti diventava noioso, una roba molto verbosa e non dava quel richiamo divertente. Quando c’è stata l’opportunità di fare una serie ho pensato “ammazza se questa roba qui riesco a metterla nella serie secondo me viene meglio”. Quindi in realtà è un miscuglio di idee che avevo in testa da tanto tempo sia di cose che sono state scritte apposta per quel formato lì.
Già si notava nei due volumi di Macerie Prime ma si vede ancora di più in Strappare lungo i bordi si vede ancora di più il Michele appassionato seriale che passa dall’altra parte dello schermo, in tante scelte come la colonna sonora, ad esempio la canzone dei Band of Horses, in alcuni cliffhanger, in tante citazioni e omaggi. Quanto è stato figo passare dall’altra parte?
È stato molto figo da una parte nel senso che comunque io ho un tale debito di gratitudine verso chiunque faccia le serie, che stare dall’altra parte mi sembra molto gratificante e stimolante. Ma dall’altra parte c’è il terrore, perché ho un tale astio verso chi mi fa perdere tempo guardando serie brutte, che rischiare di essere quella figura lì, è qualcosa che mi uccide.
Avendola vista tutta, posso dirti che non c’è quel pericolo.
Pure perché dura poco. Al massimo ti ho tolto un’ora e mezza di vita in tutto in caso (ride).
Senza spoilerare, il messaggio finale della serie, com’era già capitato nei tuoi fumetti, è dolceamaro, come la vita, e riguarda il tempo e l’uso che ne facciamo. Secondo te oggi abbiamo troppo tempo a disposizione o ne abbiamo troppo poco?
Io continuo a pensare che abbiamo troppo poco tempo a disposizione e che usiamo la maggior parte di quel tempo lavorando. Un aspetto di cui ci pentiremo e io sono una di queste persone, e se mi guardo indietro mi viene un’ansia e gli attacchi di panico… anche mentre ne sto parlando adesso. Cerco di non pensarci proprio per questo (ride).
Il tuo alter ego fumettistico sulla carta come nella serie sembra eternamente bloccato rispetto agli altri personaggi che in un certo qual modo vanno avanti. Secondo te perché? È colpa dell’Armadillo?
Non lo so ma questo si collega molto alla risposta di prima. Nel senso che io effettivamente mi sento bloccato, sento che ho dedicato molto tempo al lavoro negli ultimi dieci anni per non pensare al resto, e ora mi trovo “cristallizzato” in questa condizione qui. Mentre tutte le altre persone probabilmente pensano che sono io sto andando molto avanti, perché dal punto di vista professionale sono cresciuto. Io però guardo loro che hanno famiglia, figli, mentre io mi sento “prigioniero” della situazione. Penso che ad un certo punto me s’è spezzato qualcosa (ride) per cui riesco ad andare avanti su certi binari e su altri no. L’Armadillo ha sicuramente un suo peso nel terrorizzarmi su tutta una serie di passaggi.
Ultima domanda: Annamo a pijà er gelato?
Ti dico solo che Secco non ha mai visto niente dei miei lavori, né letto un mio fumetto, perché non gli interessa niente e non ha curiosità intellettuale. Mia madre invece ha visto i miei lavori e l’altro giorno ha incontrato Secco, ora non ricordo per quale motivo, e la prima cosa che lui le ha detto, senza sapere nulla di tutto ciò, è stata “Annamo a pijà er gelato?”. Mia madre gli è scoppiata a ridere in faccia e Secco non capiva perché.