Jupiter’s Legacy, intervista a Mark Millar: “Sono ossessionato dal rapporto genitori figli ora che sono padre”
Pubblicato il 14 Giugno 2021 alle 12:00
Dopo il cast “anziano” e quello giovane, non poteva mancare una chiacchierata con lui, l’uomo che ha creato l’universo di Jupiter’s Legacy prima come fumetto e poi come serie tv di Netflix (qui la nostra recensione).
Parliamo di Mark Millar che insieme a Frank Quitely ha realizzato il graphic novel diventato ora serial televisivo, purtroppo già cancellato ma che allo stesso tempo continuerà con uno spin-off.
Jupiter’s Legacy, intervista a Mark Millar
Perché scegliere di fare un lungo prologo in questa prima stagione? Chi ha letto il fumetto sa che le vere svolte della trama arriveranno in seguito e ne abbiamo avuto un piccolo assaggio nel finale.
È stata un’interessante scelta creativa voluta dallow showrunner Steven S. DeKnight che personalmente ho apprezzato molto. Abbiamo avuto questa discussione nelle fasi iniziali della pre-produzione ed è la prima persona che ho scelto della squadra, perché è un genio. È brillante ed ero felicissimo quando ha accettato di entrare in squadra e ha avuto quest’idea radicale di prende una storia di 8 e 6 pagine e farla diventare metà di una stagione. ‘Ci sono dei personaggi interessanti e un passato che vanno esplorati’, disse.
Io ero perplesso inizialmente ma una volta che abbiamo iniziato a parlarne era sempre più chiaro come l’aspetto umano dei supereroi protagonisti fosse la chiave anche nel fumetto, e quindi di conseguenza anche il loro passato che li ha portati ad essere supereroi. L’ho mostrato alle mie zie anziane e lo hanno capito e compreso, e questo è indicativo direi. È un po’ come Il Padrino, un sofisticato period drama e lo ha reso diverso da qualsiasi altro serial sui supereroi fatto finora. È stata una decisione coraggiosa ma quando arrivano sull’isola si prova un senso di appagamento “cosmico” da spettatori.
Riguardo al coinvolgimento nei prodotti del Millaworld – non solo la serie di Netflix ma anche Civil War e Logan al cinema – Millar dice che “Quando ho venduto la mia società a Netflix, di cui mia moglie è il CEO, sono rimasto come supervisore, scegliendo i progetti da realizzare e le persone da coinvolgere, come sceneggiatori, registi, e così via, collaborando anche al soggetto di base”. Logan e Civil War sono stati differenti, perché lui non lavorava già più alla Marvel all’epoca della loro produzione:
“Ho semplicemente dato un mio “assenso” al prodotto, sono stato più uno spettatore. Sono stato sicuramente più coinvolto con i film di Kick-Ass, perché Matthew Vaugh è un caro amico, dal casting ad altri aspetti. Non pensavo di essere così maniaco del controllo e invece ho scoperto di esserlo. E mi fa ancora strano leggere come primo nome nei crediti il mio, quindi soprattutto per Jupiter’s Legacy ci tenevo che venisse realizzata bene altrimenti la colpa sarebbe stata soprattutto mia (ride)”.
C’è anche un aspetto politico importante in Jupiter’s Legacy nella visione del Codice da parte di Sheldon (qui potete leggere cosa ne pensano a riguardo Josh Duhamel, Ben Daniels e Matt Lanter). Millar ricorda una frase di Sheldon: “Nessuno cerca più il compromesso oramai” che riassume il concetto alla base del problema secondo lui. “Se un amico o vicino non concorda con te non diventa automaticamente il nemico, e c’è troppo bianco e nero spesso nelle storie di supereroi”.
“Con l’avvento dei social media negli ultimi 10-11 anni il mondo è diventato ancora più complesso perché tutto viene amplificato come percezione. Quindi mi piaceva l’idea di una serie che fosse politica ma senza eccesso. Io stesso sono iscritto a un partito in Inghilterra ma non vorrei mai usare una mia creazione per fare propaganda verso gli spettatori. Uno scrittore deve essere onesto e dare la propria visione ma senza imporla, parlare attraverso la verità dei propri personaggi. In fondo i boomer hanno ragione per alcuni aspetti, i millenials per altri, e così via, e il serial parla proprio di due generazioni”.
Ma quale sarà stata la sfida più difficile per lui nel far diventare il graphic novel una serie tv? Millar dice che “prima che Netflix acquisisse il Millarworld e decidesse di farla diventare un prodotto seriale, stavamo pensando a un film con Lorenzo Di Bonaventura, uno dei produttori della serie, e James Gunn avrebbe dovuto essere il regista, ma lui stesso disse ‘questo non è materiale per un film, nemmeno per una trilogia, sono almeno 40 ore di storie, bisogna farne una serie. Ed è stata questa la scelta più difficile, la decisione che ha permesso di esplorare di più il 1929 e i personaggi, che altrimenti sarebbero stati nulla più di un prologo in un film. A me per primo sembra di conoscere molto di più i personaggi ora con la scelta di Steven”.
Il blocco dello scrittore capita anche a Millar? “Come mi ha detto un amico una volta, che è un medico ‘io non mi posso permettere il lusso del blocco del chirurgo, se devo operare opero’ e questo ha cambiato decisamente la mia prospettiva sulla fortuna di noi scrittori”. Soprattutto quando ha saputo che Stephen King e J.K. Rowling sono alla scrivania ogni singolo giorno a scrivere.
Sempre a proposito delle tematiche della serie, credi che i figli siano destinati a ripetere gli errori dei propri genitori o che possano fare meglio?
Sono ossessionato da questo ora che ho raggiunto la mezza età. I miei genitori sono morti quando ero adolescente e continuo a ripensare a come mi piacciano la stessa musica, le stesse serie tv che piacevano a mio padre, perché le ascoltava e vedeva in casa. In fondo impariamo a parlare e camminare da loro, quindi per forza hanno una grande influenza su ciò che diventiamo, e questo mi è ancora più chiaro ora che ho tre figli e sono padre e mia volta. Ogni cosa che faccio avrà una ripercussione su di loro, è quasi inquietante. Così quando ho pensato a questa storia di supereroi, che di solito non si sposano e non hanno figli, ho capito come sarebbe stato interessante esplorare l’aspetto familiare della storia, quello umano appunto, le preoccupazioni per i propri figli e per ciò che diventeranno.
Ma quando è iniziata l’era audiovisiva dei supereroi secondo Millar? Con la trilogia di Blade era considerato più un action movie che un superhero movie nonostante venisse dalla Marvel Comics, con gli X-Men erano ancora indecisi, poi arrivò lo Spider-Man di Sam Raimi e fece il botto di incassi ma pensavano “questo boom non durerà più di qualche anno”, e infine arrivò ovviamente il Marvel Cinematic Universe. Conclude: “Io sono un fanboy, se c’è un personaggio con un mantello non posso non essere interessato, ma finché i film faranno maggiori incassi e successi dell’anno o del film precedente, perché non continuare?”