Jupiter’s Legacy – intervista a Andrew Horton, Elena Kampouris e Ian Quinlan : “Siamo ciò che siamo grazie ai nostri genitori”
Pubblicato il 12 Giugno 2021 alle 13:30
Dopo il cast “anziano”, tocca al cast giovane di Jupiter’s Legacy raccontare la propria esperienza nella serie tv di Netflix (qui la nostra recensione) tratta dall’omonimo fumetto di Mark Millar e Frank Quitely, purtroppo già cancellata ma che allo stesso tempo continuerà con uno spin-off.
Ecco cosa ci ha hanno raccontato nell’intervista a Andrew Horton, Elena Kampouris e Ian Quinlan che sono rispettivamente i figli Brandon/The Paragon, Chloe Sampson e Hutch Hutchence Jr. Chloe più di tutti ha un rapporto di amore-odio con la fama, ma il peso della responsabilità dell’eredità della vecchia generazione opprime anche Brandon.
Come dice Kampouris: “Questo universo di Millar richiama quello di Hollywood e per me è stato utile per approcciarmi al personaggio di Chloe dato che lei ha un sacco di problemi ed è danneggiata, e molto ha a che fare con l’ambiente in cui è cresciuta. Si sente costantemente sotto un microscopio, giudicata e con una grande pressione addosso”.
Continua: “Grandi aspettative da parte del pubblico, degli amici, della famiglia. Per me però è la parte più interessante perché abbiamo questa facciata di supereroi invincibili e dentro di noi invece ci stiamo logorando, siamo estremamente umani, abbiamo una famiglia estremamente disfunzionale. Anche la sua dipendenza con la droga è stata trattata con molto tatto, non hanno avuto paura gli autori a mostrarla“. Scherza Andrew: “Penso che la similitudine fra me e Brandon sia che entrambi abbiamo duramente provato… e abbiamo fallito (ride)“.
Jupiter’s Legacy, intervista a Andrew Horton, Elena Kampouris e Ian Quinlan
Voi siete i figli, la nuova generazione, la speranza per il futuro. Pensate che siamo ciò che siamo grazie ai nostri genitori o nonostante loro?
Andrew: Nel mondo in cui vivono Brandon e Chloe loro sono stati forgiati dai propri genitori. Dalla prospettiva di Brandon, lui è tutto ciò che Sheldon e Grace vorrebbero. E’ sempre vissuto in quella “gabbia” e continua a farlo, finché gli eventi non scombussolano gli equilibri. Chloe invece non vuole quella vita, fatta di fama e superpoteri, è stata plasmata anche lei dai genitori ma se ne è allontanata, e affronta la situazione a modo suo. Questo crea un interessante rapporto tra i due fratelli, che si vogliono genuinamente bene ma allo stesso tempo fanno fatica a capirsi, perché vogliono cose diverse. Ian, penso tu abbia qualcosa di più intelligente da dire riguardo Hutch… (ride)
Ian: Penso che per Hutch valgano entrambe le teorie.
Elena: A proposito di quanto dice Andrew del vivere in una scatola, penso che per Chloe valga ancora di più, nel rapporto con i propri genitori e rispetto al bagaglio che deve portare. Mi viene in mente un cane in gabbia, e dato che sei italiano, ti rispondo così [cantando in perfetto italiano]: “Tu mi fai girar, Tu mi fai girar, Come fossi una bambola, Poi mi butti giù, Poi mi butti giù, Come fossi una bambola, Non ti accorgi quando piango, Quando sono triste e stanca tu, Pensi solo per te”. Questo direi che riassume il dilemma di Chloe, che si sente come intrappolata, abusata, non può avere la propria voce e la propria opinione ed espressione.
Attori emergenti e “vergini” anche per un mondo enorme come il fandom delle serie fumettistiche a cui approcciarsi. Dice infatti Andrew: “Non sembra esserci nessun momento di stanca per le serie e i film fumettistici, perché ognuno ha le proprie peculiarità, in primis il nostro. È terrificante ma allo stesso tempo affascinante il livello di fandom a cui andiamo incontro. Io spero avremo almeno delle action figure, perché sarebbe davvero la ciliegina sulla torta. Una limited edition box che fra 100 anni varrà un sacco di soldi, è troppo cool per non pensarci (ride). In generale entrare in un universo come questo è un sogno nel cassetto per ogni attore, che egli lo voglia ammettere oppure no“.
Gli fa eco Ian: “Da piccolo volevo la green ranger dagger che sembrava un flauto. Quindi non vedo l’ora di vedere i ragazzini che vorranno avere lo “scettro” di Hutch. Fun fact: quando è uscito il primo trailer qualche fan dei fumetti [perché il personaggio è l’unico diverso visivamente dalla controparte cartacea, ndr] diceva ‘Ma quello è The Weekend [il cantante]? Non sapevo facesse parte del progetto’ riferendosi a me (ride)“.
Anche per gli attori giovani, così come i “veterani”, Jupiter’s Legacy ha rappresentato sfide fisiche e psicologiche. Come dice Ian: “Io e Elena eravamo sul set ed entriamo nello speciale laboratorio segreto di Hutch. Non lo avevo ancora visto finché non abbiamo girato, e mi sono messo a piangere, perché Hutch è un ragazzo che sta cercando suo padre, e da spettatore puoi notare l’ossessione, la meticolosità, il fatto che lo stia facendo da anni. E quale che siano le ragioni per cui lo fa, lo stanno consumando, e nessuno lo sa. È stato come sbattere visivamente la faccia su quello che già sapevo dalla sceneggiatura“.
Elena la butta sul ridere: “Non so voi, ma io sono ho paura delle altezze (ride). Abbiamo fatto un mese di preparazione stunt ma non avevo realizzato finché abbiamo iniziato a girare che avremmo dovuto volare e altre follie simili. E poi urlavano ‘Più in alto più in alto’ e io ero sempre più nervosa ma per fortuna abbiamo avuto un’ottima squadra di stunt che ha saputo come farmi vincere quella paura e soprattutto come gestire al meglio le situazioni“.
Andrew invece è più serioso: “La sfida più difficile per me è stata il funerale nel secondo episodio. È stata la scena del mio provino e quando hai a che fare con una tale sceneggiatura è incredibile, e una seconda volta quando la metti poi effettivamente in scena. Sentivo una grande responsabilità. Piangere per sei ore filate è stato davvero intenso: ero stanco e disidratato, avevo mal di testa, ma è stato totalizzante anche per questo”.
A proposito degli stunt, Ian ricorda: “Nessuno dei miei stunt è in green screen ahimé, vengo letteralmente lanciato di qua e di là (ride). Un’esperienza diversa per ognuno di loro, Andrew ad esempio è l’unico supereroe “ufficiale” del gruppo che deve indossare un costume: “Indossarlo è come entrare in una certa mentalità e maggiormente nel personaggio, quindi aiuta di più quando devi girare in green screen su paesaggi assurdi. Aaiuta a metterti in quei panni e dentro la scena e in ciò che sta accadendo. D’altronde è il nostro lavoro di attori metterci in gioco e far credere ciò che non si vede, altrimenti potenzialmente siamo nell’industria sbagliata (ride)“.
Elena invece dice che quello che ho imparato dal green screen e dai visual effects è che ti fanno sembrare sempre fichissimo ma in realtà non puoi sapere cosa aspettarti sul set. Un esempio? La super velocità è super cool sullo schermo, ma in realtà ti mettono in una posa ferma per molto tempo: “poi ti dicono di muoverti molto lentamente come un t-rex, poi devi fermarti di nuovo, e infine gli effetti faranno il resto. È totalmente assurdo. D’altronde è la magia del cinema“. Chiude Andrew: “È il loro lavoro farci sembrare fighi (ride)”. Non avremmo saputo dirlo meglio.