Portugal di Cyril Pedrosa – Recensione

Pubblicato il 22 Giugno 2012 alle 10:43

Ci sono libri che, seppur alla prima lettura, ti danno l’impressione di aver ritrovato un buon amico, qualcuno che non vedevi da molto tempo, e che una volta rincontrato hai la sensazione di non averlo mai lasciato.

Portugal

Autore: Cyril Pedrosa

Casa Editrice: Bao Publishing

Provenienza: Francia

Formato: cartonato 24 x 32, 264 pp. col.

Prezzo: € 27,00

Data di pubblicazione: 8 giugno 2012

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Ci sono libri delicati come una sottile pioggia estiva, ma che non per questo non arrivano a toccarti nel profondo, come una goccia che si insinua in una minuscola crepa per arrivare in luoghi sconosciuti, o che abbiamo semplicemente dimenticato, ma che sono lì.

Portugal è uno di questi.

Un vero e proprio “Bildungsroman”, un romanzo di formazione ma che travalica la prospettiva del singolo protagonista (Simon) per inserirsi in quella di un’intera famiglia e forse, di tutto un popolo.

Un libro che già dalla prima pagina suona invece di parlare.

Il che rappresenta un approccio non convenzionale e poetico, ma che non consiste in un esercizio stilistico fine a se stesso.

Ritengo sia una scelta ponderata perché durante tutta l’opera la musica nello specifico, ma lo sfondo in generale, giocano un ruolo assolutamente fondamentale: non sono mero ornamento, scenografia di un teatro sul quale i personaggi, vivendo esistenze di carta, recitano la propria parte.

Quello che accade intorno ai protagonisti non è soltanto un contorno; al contrario, capita non di rado che inglobi persone e parole diventando il vero primo attore.

Ciò avviene soprattutto nelle sequenze in Portogallo dove questo profilo si accentua con i colori caldi con cui l’autore ce lo dipinge, e che avvolge noi e Simon di vita e di sonorità affascinanti.
In questo devo dire che la scelta di mantenere in lingua originale il parlato portoghese è vincente perché, ben lungi dal creare un gap di comprensione, ha l’effetto di immergerci completamente in una realtà diversa ed intrigante e di immedesimarci in Simon che pure non conosce quell’idioma, ma da esso è ammaliato al punto da volerlo imparare: a lui non importa, inizialmente, di capire le parole, ma è contento semplicemente di ascoltare, come quando era bambino, quel linguaggio così musicale dal quale si fa permeare, come dalla cultura, dai costumi e da un senso di positività che riescono a colmare il vuoto del suo “blocco dello scrittore” (e del disegnatore).

A ciò si contrappongono i colori più freddi e sbiaditi della quotidianità francese di Simon, dalla cui realtà egli si estranea molto di frequente: che si tratti di guardare la pioggia fuori della finestra di un istituto bancario, di volare con la fantasia più in alto dei bambini a cui fa lezione o di alienarsi fuggendo dal mondo in una sorta di meditazione subacquea.

Questo mondo non riesce più ad ispirarlo, e neppure la ragazza che ama e con cui condivide l’esistenza ed importanti progetti. Tutto, intorno, lo rende disilluso, anestetizzato, svampito: insomma sconosciuto a se stesso.

Che dire, dunque, del tema dell’amore: anche in questo ambito la personalità del protagonista è in continuo movimento, e vive di fasi alterne, in un percorso di maturazione sentimentale che parte da una storia d’affetto tenero, ma misto all’abitudine della quotidianità, e dal bisogno di avere qualcuno a cui appoggiarsi; altre volte invece il sentimento è costretto da un senso del dovere che il primo Simon rifugge con tutto se stesso, ed il cui peso riuscirà a sostenere solo dopo aver fatto i conti con la propria famiglia ed il proprio passato.

Poi c’è l’amore scintilla del primo viaggio in Portogallo, un ritrovato entusiasmo per i sentimenti suscitato dall’ambiente circostante, e che coincide con l’interruzione del blocco creativo.

Infine l’amore gentile, quasi etereo o sognato, del finale che, pur consumandosi in un’unica notte, rappresenta un’ulteriore riprova del percorso evolutivo di Simon, e che culmina con l’immagine di lei che dorme ancora mentre lui se ne va, ma solo dopo averne ascoltato il respiro, in un momento la cui delicatezza è davvero infinita.

Che dire dell’approfondita analisi delle dinamiche familiari, i cui protagonisti non sono stereotipi, ma personaggi a tutto tondo, dei quali da un gesto, da una frase, si capisce l’interiorità, la visione del mondo, la gerarchia dei valori. Ed a volte il non detto, il silenzio, è ancor più significativo.

In particolare gli zii di Simon: Jacques che, autoelettosi capofamiglia, a volte veste da burbero e da censore, ma ha il cuore più grande di tutti; oppure Yvette la cui saggezza è spesso mascherata dall’anticonformismo e dalla eccentricità.

Ed eccoci a Jean (il padre di Simon), che pure appare fin dalle prime pagine, e che pure è pieno di contrasti tra il suo successo come professionista ed i suoi insuccessi come uomo: un rapporto deragliato con la moglie ed atipico con l’attuale compagna, la quasi assenza di contatto “vero” con il figlio, l’amore conflittuale con i propri germani.

Anche Jean crescerà nel corso del libro, ma la sua forma è già troppo immobile, ed i suoi impegni troppo pressanti per potersi concedere un viaggio in Portogallo ed arrivare alla vera catarsi.

Catarsi che per Simon arriva già alla fine della seconda parte del libro, quando ritornando a casa dopo la parentesi in Borgogna per il matrimonio della cugina, si immerge nudo in uno specchio d’acqua, ritorna per un attimo se stesso, come quando era bambino, ed è pronto per la fase finale del suo viaggio: il ritorno in Portogallo.

E’ qui che l’acquerello (magistrale) di Pedrosa raggiunge il suo apice artistico, ed ancora una volta ci da un senso di leggerezza, come leggeri e spontanei sono la cultura ed il modo di vivere dei parenti portoghesi (ed invero di tutti i personaggi che ci vengono presentati): affetto incondizionato e buone maniere senza ipocrisie che coinvolgono Simon (e noi) facendogli(ci) riscoprire il valore delle piccole cose, come una bicicletta impolverata o un giardino coltivato.

E riscopre anche i sentimenti e la capacità di esprimerli: ad esempio il valore di un abbraccio (proprio lui che era così inetto, come il padre, nel manifestare sentimenti con un gesto).

Ritorna qui nuovamente il tema della “ricerca delle radici” che vede il suo compimento con il ritrovamento di una lettera del nonno di Simon, Abel, emigrato in Francia.

Questa lettera, che leggiamo solo alla fine del libro in un’occasione particolare che non vi svelerò, è la lezione finale: la verità sull’identità dell’uomo, così semplice da risultare quasi banale. Ma è nella semplicità che sta la misura della grandezza. Nella semplicità, e nel sincero amore con cui ci travolge, insieme con i suoi colori, questo bellissimo libro.

Più che meritato, dunque, il premio Bande Dessinée Fnac al Festival di Angoulême, la Cannes del Fumetto.

Più che meritato da Cyril Pedrosa che oltre ad essere un narratore formidabile ha la capacità di modificare il proprio stile e le proprie tecniche (sublimi gli acquerelli) in relazione alle esigenze narrative. Il che ne fa, dal mio punto di vista, un vero genio.

Ci sono libri che ti prendono così tanto, che a scriverne una recensione si rischia di farsi trasportare al punto da raccontarli interamente.

Ci sono libri che ti fanno venir voglia di partire, di toccare con mano i luoghi della narrazione, perché hai la certezza che potranno darti le emozioni che cerchi, ed ispirarti.

A me è venuta voglia di visitare il Portogallo.

Portugal è il libro più bello di quest’anno, ed il migliore nel rapporto qualità-prezzo.

Non posso che consigliarlo e ringraziare la Bao Publishing per aver portato in Italia un simile gioiello, pubblicandolo in un’edizione assolutamente perfetta, che lo ha valorizzato al massimo, cioè esattamente quanto si merita.


Voto: 9

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