I Goonies in 4K al cinema: 5 motivi per cui è un cult
Pubblicato il 9 Dicembre 2019 alle 18:00
Uno dei motivi di successo di una serie come Stranger Things è il pieno effetto nostalgia, in particolare per gli anni ’80, su cui è costruito. Uno dei film simbolo di quel decennio è sicuramente I Goonies (1985) di Richard Donner, a cui Stranger deve molto per l’immaginario – i ragazzi “sfigati” e nerd, il paesino, le biciclette, i fratelli e sorelle più grandi che se la fanno tra di loro. I Goonies torna al cinema per la prima volta in 4K il 9, 10, 11 dicembre grazie a Warner Bros. Pictures e per l’occasione andiamo a ripescare alcuni fra i mille motivi per cui la generazione anni ’80 l’ha innalzato a cult senza se e senza ma, un film “necessario” per la crescita di quel decennio.
La storia è presto detta: seguendo una misteriosa mappa del tesoro fino a giungere in uno spettacolare regno sotterraneo pieno di passaggi tortuosi, trappole esplosive e vecchie navi pirata colme di dobloni d’oro, i ragazzi cercano di sfuggire a una famiglia di goffi e cattivi soggetti e a un mostro gentile con una faccia tale da far intenerire solo sua madre.
Una curiosità: il titolo della pellicola viene dal soprannome dei quattro protagonisti, che viene dal nome del loro quartiere “Goon Docks”. Nello slang americano, “goony” vuol dire anche “sfigato” ed è per questo che Mikey dice spesso che lui e i suoi amici sono “dei poveri Goonies”.
Lo spirito avventuriero
I Goonies raccoglie molti elementi che appassionano i ragazzi crescendo: le storie di pirati, le mappe del tesoro, i tesori nascosti, gli enigmi da risolvere e le trappole da schivare. Il tutto ovviamente mentre si sta crescendo e si è nell’età più vulnerabile e più aperta a nuove esperienze. Allo stesso tempo permette ai figli di vederlo coi genitori e agli adulti di appassionarsi altrettanto caldamente.
La storia
Senza una buona storia, non si va da nessuna parte. La sceneggiatura di Chris Columbus nasceva dal soggetto di Steven Spielberg, che fu anche il produttore del film. Asciutta e allo stesso loquace, incanalava perfettamente lo spirito del tempo e dei quattro giovani protagonisti, caratterizzandoli subito agli occhi e al cuore degli altrettanto giovani spettatori. C’è tutto lo storytelling spielberghiano semplice, quasi favolistico eppure costruito così rocambolescamente dalla regia di Donner nei 114 minuti di film.
Da Astoria, Oregon a Hawkins, Indiana
Entrata subito nell’immaginario la cittadina che fa da sfondo alle vicende, con le sue strade, le sue case da perfetto vicinato, le biciclette per scorrazzare in giro e soprattutto tutti i luoghi segreti da scoprire nascosti sotto di essa. Luoghi in cui i protagonisti non vedono l’ora di addentrarsi per trovare il leggendario tesoro di Willie l’Orbo.
I protagonisti
Ci vuole una buona scrittura ma ci vogliono anche degli ottimi attori, soprattutto se giovani, ancora acerbi ma molto promettenti. Quelli che sicuramente hanno avuto più successo sono Sean Astin che interpretò Mikey ed è stato Sam nella saga del Signore degli Anelli nonché ha fatto incursione proprio nella seconda stagione di Stranger Things nei panni di Bob. Josh Brolin che era suo fratello Brad di recente è stato Thanos nella saga degli Avengers e Cable in quella di Deadpool. E sul comparto femminile Martha Plimpton è stata la mitica Virginia nella sitcom di Greg Garcia Aiutami Hope!
Willie l’Orbo e Sloth
Il pirata da cui parte tutta l’avventura e John Matuszak nei panni di Sloth, il fratello deforme della “Banda Bassotti” del film, che è entrato negli incubi e nei cuori dei ragazzi dell’epoca. Tanto il trucco prostetico per caratterizzarlo, così come gli effetti speciali fantasmagorici per l’epoca – dato che non esisteva ancora la CGI. La scena della caverna con la nave sepolta fu interamente ricostruita così come tutto il resto, tanto che gli attori rimanessero così stupiti quando la videro la prima volta in scena che imprecarono e dovettero rigirare la sequenza.