Prima di Pai: intervista a Davide “Dado” Caporali | Romics 2019

Pubblicato il 7 Ottobre 2019 alle 16:00

Esterno, giorno. Un’intervista “bucolica” potremmo definirla quella con Davide Caporali, in arte Dado, in occasione del Romics 2019 e dell’uscita del suo nuovo fumetto Prima di Pai. Fatta nel prato fuori i padiglioni, per allontanarsi un attimo dal caos della Fiera, perché “Il Romics è bello ma non ci vivrei”.

Tu hai iniziato con Maschera Gialla. Cosa ti è rimasto nel cuore di quel personaggio e come hai costruito quello stile di disegno, che è ovviamente diverso da Pai?

È stato il mio primo fumetto, la mia prima serie, il mio primo approccio ai lettori, alla critica, al pubblico, quindi mi ha aiutato sicuramente tantissimo a crescere come autore, anche se col senno di poi cambierei un’infinità di cose, un’opera prima, poi ripresa a più tratti, cambiata, rieditata, sicuramente mi è servita come “scuola” e la porterò a termine, perché è ancora lì, però non sarò io a disegnare la fine, perché se dovessi aspettare i miei tempi e tutte le cose che devo fare resterebbe incompiuta…

Quindi una sorta di passaggio di testimone…

Continuerò a scriverla io ma la disegnerà un altro ragazzo che mi sta aiutando, abbiamo iniziato da un mesetto, un esordiente, mi ha aiutato con un sacco di cose dietro le quinte, dei flat e così via, abbiamo costruito un rapporto di lavoro e poi gli ho affidato questo progetto. Si chiama Elia Bisogno, ha partecipato a un paio di edizioni della 24 Ore Comics, ma già lo conoscevo perché era amico di un’altra ragazza con cui avevo già lavorato, anche lei esordiente. A me piace conoscere le persone che vedo sul web, se mi piace quello che fanno, le contatto e vediamo se può nascere qualcosa di bello da una collaborazione. A lei per esempio ho fatto fare delle illustrazioni per Maschera Gialla che ho messo come inframezzo all’interno dei capitoli, anche lei con dei flat e anche Dragon Boh che ho fatto con Sio. Poi da cosa nasce cosa…

Per lo stile di disegno, Maschera Gialla parte dagli esordi con Shockdom, quando era poco più della piattaforma online e uno stand a Lucca dove stampavano un fumetto l’anno, uno stile tutto comics americano perché uscivo dalla Scuola Internazionale di Comics ed ero molto impostato. Fra l’altro io lì avevo sbagliato indirizzo perché volevo fare più un umoristico-grottesco, invece mi sono iscritto all’indirizzo realistico perché mi avevano detto che comprendeva anche il grottesco, ma in realtà era trattato da umoristico, quindi ho fatto l’ultimo anno di comics su uno stile “sbagliato”: quindi poi sono uscito, ho distrutto tutto il mio stile e ho ricominciato daccapo, già se guardi i lavori dell’anno scorso sono diversi, un’evoluzione, ed è bello anche così.

Con Vita di Pai hai raggiunto il successo a tutto tondo. Scherzi spesso nelle presentazioni sul fatto che hai fatto un figlio per fare fumetti. Ma come ti è venuta in realtà l’idea?

Io dico sempre che è deformazione professionale. Ho avuto un figlio, succedevano un sacco di cose soprattutto nei primi sei mesi che sono i più tosti, allora mi sono appuntato alcuni eventi simpatici. Trascorsi i sei mesi ho iniziato ad avere un po’ più di tempo libero e mi sono messo a fare delle strisce. Le facevo vedere solo a Chiara, ai miei genitori e a quattro amici strettissimi e vedevo che venivano apprezzate da loro che mi dicevano “mettile online”. Io però ero un po’ restio, perché erano la mia famiglia… Avrei voluto fare la stessa cosa con personaggi inventati, però probabilmente non sarebbe stato lo stesso, perché alle persone piace vedere che quei personaggi esistono. Così le ho pubblicate prima su Facebook, sul mio profilo personale, dove ho un numero di pubblico limitato, e notavo che avevano il triplo di like degli altri miei post.

Su Facebook avevo già la pagina di Maschera Gialla e un’altra pagina Dado’s Stuff in cui pubblicavo tutto quello che facevo non inerente a Maschera Gialla, perché altrimenti si creava una miscellanea senza senso. Quindi iniziando a pubblicarle in Dado’s Stuff ho visto che da subito avevano un ottimo riscontro. Avevo un account Instagram con lo stesso nome aperto anni prima in cui non avevo caricato ancora quasi nulla. Se ancora adesso vai a vedere i primissimi post dell’account ci sono delle foto stupidissime che servivano per provarlo, “molto prima di Pai” [ride]. Un esperimento accantonato inizialmente perché non si potevano fare un sacco di cose, come i post multipli. Tutti però – i giovani in realtà, perché io sono vecchio [ride], mi parlavano bene di Instagram e così me ne sono innamorato… Ora “odio” Facebook, ma lo odiavo già prima in realtà ma era l’unico social che potevo utilizzare per il lavoro. Ora su Instagram ci sono le storie, c’è molta più vita giovane e interazioni col pubblico, molte meno polemiche…

Vive di immagini.

Esatto, mi sto divertendo a sperimentare delle animazioni, ha ancora dei limiti non si possono caricare le gif e altro, ma diamo tempo al tempo.

Davide “Dado” Caporali al firmacopie Shockdom al Romics 2019

Riallacciandomi al tuo discorso sui social e su Instagram, oggi sono uno strumento per tenere “caldo” il pubblico in attesa del nuovo fumetto, del nuovo progetto di voi autori, tramite strisce quotidiane, meme e quant’altro, che diciamo non portano introiti se non per il mantenimento dell’account. Come vivi questo aspetto del tuo lavoro?

Io nasco come autore di webcomic, sono sempre stato online e quindi sono abituato a lavorare a contatto diretto col lettore, ho sempre dovuto inventarmi qualcosa per mantenere vivo l’interesse, fin dalla pagina Facebook di Maschera Gialla, tra un capitolo e l’altro passavano mesi, e quindi via di giochi, contest e altre idee che mi venivano in mente. Instagram è forse più immediato e poi ci sono le stories, che durano 24 ore e poi scompaiono, uno strumento utilissimo, poiché non intasano l’home page. Se su Facebook pubblicavo dei post tra un capitolo e l’altro la gente se li ritrovava poi nel mezzo per passare da un capitolo all’altro, e non era funzionale cancellarli, su Instagram invece la home è pulita con le strisce e invece tutte le “cazzate” finiscono sulle storie. Lo trovo uno strumento quasi perfetto per il nostro lavoro, per promuoversi, con Instagram non ho introiti a livello diretto, il guadagno si traduce sempre in copie vendute, io sono su Instagram e faccio le strisce affinché le persone si affezionino e comprino i miei lavori e io possa continuare a fare fumetti perché loro comprano ciò che creo, è una sorta di circolo vizioso. Del resto Full Metal Alchemist insegna che nell’arte 1 vale 1, quindi… [ride]

A proposito della quotidianità che piace ai lettori e che hai nominato prima, molti fumettisti italiani come te, da Zerocalcare e Ortolani a Giacomo Bevilacqua e Simple & Madama, per fare solo alcuni esempi, piuttosto che raccontare di mondi fantastici e inventati hanno preferito raccontare (non solo ma soprattutto) un alter ego di se stessi e dei propri cari, e questo fino ad adesso ha ripagato. Come mai secondo te?

Lo slice of life è un genere che va sempre forte, io penso che si crea proprio un meccanismo nel lettore che sa che quello che legge in parte magari è vero, sa che c’è una persona fisica dietro che si racconta, quindi è più facile forse per il pubblico immedesimarsi o affezionarsi ai personaggi perché sa che esistono nella vita reale. Alle fiere vedono me o Bevilacqua o chicchessia, e esclamano “finalmente ti vedo di persona!” come se avessimo chattato o ci fossimo parlati direttamente quando in effetti non lo abbiamo fatto. Questo rapporto che si innesca è particolare, come se già mi conoscessero, è bello e particolare, ed è una cosa che già andava in Shockdom, con Eriadan, che è stato il pioniere in questo senso in Italia, lui ha anticipato i tempi di almeno 3-4 anni. Nel 2008 lui già aveva pubblicato diversi fumetti con Shockdom, l’unico autore pubblicato da loro, quando esisteva Lucca Comics ma non ancora “gli autori con le file”. Io mi ricordo nel 2008, al mio primo Lucca Comics, pubblicavo da pochi mesi sulla piattaforma Shockdom, andai a cercare lo stand e Eriadan era l’unico con la fila di persone in attesa di uno sketch e dedica. È stato uno dei miei capisaldi d’ispirazione che mi hanno spinto a fare fumetto online. Mi sono detto “Sai che c’è, voglio farlo anch’io”, da lì ho conosciuto Sio… Inizialmente feci anch’io spezzoni di vita, ma avevo 18 anni quindi che c’avevo da raccontare [ride], quindi è durato un mese l’esperimento e poi ho lasciato perdere, così nacque Maschera Gialla. Ebbe un buon riscontro online, anche se allora non c’erano like o statistiche, c’era il codice url-shiny-stat o una cosa del genere per provare a monitorare le visite e le visualizzazioni, chiedendo magari ai colleghi che riscontro di visite avevano avuto loro. Si era creata una bella community a Shockdom.

Quindi ecco come hai conosciuto Sio…

Quando ancora non era super famoso, i fumetti erano gli stessi, ma poi con l’avvento di YouTube si è trascinato il seguito dai fumetti e ora fa soprattutto quelli.

E adesso è anche papà, quindi io mi aspetto un crossover prima o poi…

Lui è più intimo, e ha un pubblico talmente grande… però sarebbe sicuramente bello, io lo farei volentieri.

Tra l’altro adesso Instagram sta facendo le prove in queste settimane per non far visualizzare il numero di like…

Da una settimana è successo anche a me.

La testa più bella del web (almeno secondo un tormentone dei suoi amici e lettori)

In Vita di Pai c’erano un mix di emozioni e situazioni in cui immedesimarsi, anche per chi non è genitore. Dobbiamo aspettarci lo stesso da Prima di Pai, anche in quanto a uniformità di disegni?

La coerenza del disegno era necessaria, stiamo parlando degli stessi personaggi e dello stesso universo, lo stile doveva essere coerente con le strisce. A livello di narrazione è invece completamente un’altra cosa, infatti anche il formato è diverso, classico, perché è un fumetto vero e proprio, ha una trama lunga, 140 e passa pagine, non sono strisce autoconclusive, ci sono battute, punch lines, si ride, ma si trattano anche argomenti più seri, magari si piange anche un po’. Ho presentato anche altri personaggi che all’interno delle strisce non compaiono e che probabilmente non compariranno mai più. Sono sempre un po’ restio ad aggiungere persone della famiglia all’interno delle strisce, perché poi cominciano a dirmi “A zio lo ha inserito e a me no”.

Ah vedi io pensavo il contrario, il non voler esporre ulteriori familiari…

No anzi loro vorrebbero, sono io a mettere dei paletti, quindi io per evitare situazioni del genere ho ristretto il campo al nucleo originale familiare di noi tre.

Direi severo ma giusto.

Lo stile di Vita di Pai è semplice e immediato, proprio come l’argomento che racconta: la quotidianità, un bambino protagonista, ed è anche per questo che arriva subito al pubblico secondo me. È per questo motivo che hai fatto questa scelta?

Le strisce comiche hanno come base la semplicità. Nascono come un mezzo che andava sui giornali all’epoca, l’autore ne consegnava 10 ogni giorno all’editore e di quelle ne veniva pubblicata solamente una, quindi non aveva proprio il tempo di farne dieci troppo costruite e precise. Tutto nasce proprio da questo, doveva essere la versione più semplice al mondo, un lavoro veloce, diretto e funzionale. La battuta iniziale, la punch line e lo svolgimento nel mezzo. Io ho preso quello stile e l’ho trasportato sul web in una versione più lunga. La classica striscia è composta da 3 vignette, Instagram ne permette 10 e così ho sfruttato questa possibilità, uno svolgimento più lungo con la solita punch line finale.

Tra l’altro quando ti scrivono nei commenti che cercano le differenza fra una vignetta uguale e l’altra, tu hai ammesso di fare copia e incolla….

Certo, sempre per il discorso funzionale e immediato delle strisce che facevo prima. Le realizzo nei ritagli di tempo tra un lavoro pagato e l’altro, dato che non mi portano introiti diretti come dicevo prima. Devo guadagnare più tempo possibile e ottimizzare. Le 10 vignette mi aiutano anche a dilatare i tempi comici, uno strumento che io adoro, perché tante immagini uguali creano automaticamente nel lettore curiosità e suspense, che puoi utilizzare per accontentarlo dandogli quello che si aspetta, oppure tutto il contrario. È divertente giocare così col lettore, finché mi diverte continuerò a farlo.

Ultima domanda. Ho letto che hai collaborato ad Attica, l’atteso progetto di Giacomo Bevilacqua per Sergio Bonelli Editore. Puoi dirci qualcosa della tua collaborazione?

Io ho fatto l’assistente di Giacomo Bevilacqua [ride]. Ho aiutato Giacomo con gli sfondi e i grigi, dato che ci conoscevamo già bene. Poi realizzerò delle tavole vere e proprie per l’ultimo numero, un piccolo spin-off di 6-7 tavole, ne dobbiamo ancora parlare meglio in realtà ma abbiamo già gettato le basi. Anche se ci vorrà tempo dato che deve ancora uscire il primo numero.

E che cosa ci dobbiamo aspettare da Attica come contenuti?

Attica è un fumetto che non si è mai visto in Bonelli. È uno shōnen, non saprei come meglio definirlo. Io ho avuto modo di leggere solamente le parti a cui ho collaborato per il momento, e in quelle si menavano tutto il tempo, quindi questo aspetto mi piace un sacco [ride]. È un progetto che spero vada bene perché se Bonelli vede che ha un buon riscontro magari sono disposti ad aprirsi a questo genere di esperimenti, che in realtà funzionano un po’ dappertutto, ma Bonelli ha bisogno di essere “accompagnata”. Spero si rendano conto che c’è un mondo di progetti a cui fa bene allargarsi; se si aprono le porte della Bonelli c’è tutto un mondo di autori che non vedono l’ora di presentare i propri lavori, non solo io, Giacomo e Emilio Lecce che ha lavorato con noi a Attica.

Ve lo auguro con tutto il cuore.

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