The Boys – Stagione 1 | Recensione
Pubblicato il 1 Agosto 2019 alle 15:00
Una serie anti-supereroi che ne analizza il più torbido segreto e il più oscuro superpotere.
Titolo: The Boys
Genere: fumettistico, sci-fi, drammatico, azione
Creatore: Eric Krikpe, Seth Rogen, Evan Goldberg (produttori)
Cast: Karl Urban, Jack Quaid, Antony Starr, Erin Moriarty, Dominique McElligott, Jessie T. Usher, Laz Alonso, Chace Crawford, Tomer Kapon, Karen Fukuhara, Nathan Mitchell, Elisabeth Shue
Distribuzione: Amazon Prime Video
Episodi: 8
Durata: 50-60 min. ca.
Messa in onda: 26 luglio 2019
C’è una tale costruzione impeccabile nei dialoghi, nel montaggio, nella struttura narrativa, nella fotografia, nella serie tv di Amazon Prime Video The Boys l’adattamento pedissequo ma non troppo dell’omonimo fumetto di Garth Ennis e Darick Robertson a cura di Eric Kripke (Supernatural) e Seth Rogen & Evan Goldberg (Preacher).
Una versione leggermente edulcorata rispetto alla cattiveria di Ennis, ma che bilancia molto bene il carattere generalista di Kripke e quello “cazzaro” da via cavo di Rogen & Goldberg. La serie rimane comunque senza troppi peli sulla lingua, non le manda a dire, ed è costruita ad arte nel presentare quelli che si riveleranno le due “anime” della storia – Hughie per i Boys e Annie per i Sette. Sono i loro i due punti di vista principali, che vanno a collidere e incontrarsi man mano si prosegue nella visione: sono quelli più “puri”, che rappresentano l’innocenza prima della presa di consapevolezza di come va il mondo quando si cresce, nonostante il tutto inizi con un omicidio da parte di lui.
Due fazioni ma in realtà due facce della stessa medaglia, che mescolano continuamente i ruoli e li invertono. I “ragazzi” del titolo da una parte (emblema della semplicità e umanità della specie), che vogliono fermare i “Super” dalla loro sete di potere. Ennis prima e Kripke poi hanno scardinato la storia fumettistica: i supereoi non sono necessariamente buoni, anzi sono delle star piene di sè e delle proprie abilità, bramose di fama. L’idea che questo “dono” sia tutt’altro che arrivato da Dio ma piuttosto un’idea tutta umana attraverso una droga che li rende dei “dopati” è ciò che scardina ogni credenza alla base e che rende questa storia sci-fi così umana. Perfettamente attualizzata all’oggi, la serie è una feroce critica alla società americana contemporanea – come lo era stato American Horror Story alla prima stagione. Una critica alla nostra dipendenza dalle apparenze, dai social media e anche dai sondaggi, quasi fossimo in una costante campagna politica. La Vought, la società al centro della vicenda, si comporta infatti come una continua analisi di mercato sui supereroi, che ne sradica i punti creduti finora fermi e ne toglie tutta la magia facendone una mera questione di numeri e di metadati, ma è proprio questo il bello e la forza del telefilm.
Il casting fatto è ottimo ed è la perfetta controparte “live action” del materiale cartaceo di partenza, anche in quanto ad inquadrature e montaggio. Una menzione speciale va a Antony Starr da una parte, quasi irriconoscibile dai tempi di Banshee che offre un’interpretazione da Emmy per il suo Patriota, e dall’altra a Elizabeth Shue, cinica “maitresse” della Vought. Lui è la parodia di Captain America nonostante in generale i Sette si rifacciano alla Justice League e quindi ai supereroi DC. Un leader che dovrebbe essere integerrimo e rappresentare la forma più alta dell’eroe americano (non dimentichiamo l’importanza nell’ideale americano dell’Eroe). Invece è la perfetta rappresentazione dell’iprocrisia americana, e di come il carisma possa essere usato per scopi poco idealistici. Lei rappresenta la “madre” putativa dei supereroi, una madre-amante per il Patriota in un rapporto ai limiti del morboso, e una donna in carriera che vuole essere anche una madre biologica a tutti i costi. Il rapporto “malato” fra i due è una delle vette raggiunte dalla serie in quanto a ribaltamento dei ruoli.
Anche l’aspetto tecnico è estremamente curato, volto a ricreare perfettamente l’atmosfera punk e cruenta del fumetto. Alcune sequenze come quella del combattimento fra Butcher e Translucent nel primo episodio, sono un colpo da maestro che dimostra come si possa ancora costruire qualcosa di nuovo e originale e “che sembra vero”, dopo altri combattimenti “in trasparenza” visti finora anche sul grande schermo. In generale è fatta ad arte tutta la costruzione narrativa dell’ultimo arrivato di casa Amazon, che arriva al climax finale e alla rivelazione del segreto con la S maiuscola. Un segreto che unisce tutti i personaggi e tutti i puntini e che preannuncia una seconda stagione (già ordinata) che vedrà un ulteriore ribaltamento dei ruoli, con Rebecca viva e vegeta e con un figlio Super.
The Boys ci ricorda continuamente cosa vuol dire essere Super davanti e dietro le telecamere, l’ipocrisia della società americana libertina nelle parole ma allo stesso tempo pudica nei fatti.
In Breve
Giudizio Globale
9.0