La sedia del diavolo di Germano Massenzio | Recensione
Pubblicato il 2 Agosto 2019 alle 11:00
Un viaggio tra i ricordi di un vecchio rudere contro le nuove tecnologie.
Autore: Germano Massenzio
Genere: biografico, ecologico
Editore: Douglas Edizioni
Formato: brossurato, 66 pagine, col. e b/n
Un bocconcino da assaggiare come un diplomatico colmo di zucchero a velo: si affonda la bocca in strati e strati di storia del luogo (i Monti Dauni) assaporando la croccantezza di una narrazione nostalgica, afosa e fresca al tempo stesso, oltre a riuscire a sentire l’odore pungente tipico del grano appena tagliato.
La fotografia del paese di Motta Montecorvino e della sua bellezza viene data direttamente dal suo autore e dai suoi ricordi in un periodo di vacanze. Tramite gli occhi di Massenzio, percepiamo lo scorrere del tempo nel paese e nell’ambiente circostante che si ritrovano a dover subire inerme i cambiamenti e le evoluzioni tecnologiche.
In un’alternanza di momenti a colori e in bicromia, l’autore de La sedia del diavolo, pubblicata dalla casa editrice napoletana Douglas Edizioni, si cala in una linea temporale indefinita del passato per farci vedere con i suoi occhi i campi dauni e l’imponente rudere che da quasi mille anni li sorveglia. I residui di una vecchia cittadella medievale, in seguito a un assalto nel 1137, hanno sempre più assunto le sembianze di una grande ed elegante sedia: deriva da qui il nome di “Sedia del Diavolo” (da non confondere con la tomba di Elio Callisto, situata a Roma). La costruzione (o perlomeno, quel che ne rimane) deve cercare di “fare amicizia” con le nuove pale eoliche che sono state montate intorno a lei, sottolineando l’eterna lotta tra vecchio e nuovo, tra arte e tecnologia, tra paesaggio ed energia. Sì, perché un altro dei temi affrontati all’interno del volumetto c’è anche il deturpamento del paesaggio dovuto all’installazione inflazionata di pale eoliche lungo le sommità dei Monti Dauni.
La tecnica mista usata da Germano Massenzio rende meglio la distinzione dei momenti narrativi all’interno del volumetto: caldi acquerelli dipingono il tramonto pugliese sui campi di grano, mentre una bicromia bianco/nero porta dentro la dimensione del ricordo, del sogno e della fantasia. Grazie all’alternanza del colore, l’autore regala al lettore anche l’opinione del rudere, facendola parlare ed esprimere i propri sentimenti; scopriamo che la Sedia del Diavolo, a dispetto del suo nome maligno, si rivela essere una specie di “vecchietta” solitaria che cerca di parlare alle nuove generazioni e mettersi al proprio livello, portando in risalto l’annoso problema del dialogo tra le diverse generazioni, tra chi porta innovazione e progresso (?) e chi invece cerca di salvare e preservare i ricordi di un passato che non tornerà più.
Il volumetto è inoltre corredato da una nota storica stilata da Francesca Capone, referente del settore fumetto della Biblioteca di Foggia, che amplia ancora di più la conoscenza e l’immaginario dell’ex torre medievale, spingendo il lettore sempre più verso il territorio che separa la Puglia dal Molise. Una storia che nasce nei ricordi ed è destinata a essere senza tempo, sospesa in un punto del mondo a combattere costantemente contro un progresso tecnologico deturpante.
In Breve
Storia
7.0
Disegni
8.0
Cura Editoriale
8.0
Sommario
Puglia. Un sorprendente viaggio tra presente e passato che unisce e incrocia la storia di una torre secolare e di un ragazzino, fattosi grande e che vede cambiare i luoghi dell’estate a lui cari, che conosce sin da bambino, ma che deve accettare anche i propri cambiamenti. Il tutto recitato sullo sfondo di caratteristici paesaggi dauni, raccontato attraverso segni, cromatismi e intrecci narrativi.