Evangelion – Netflix: come un adattamento rende oscura un’opera
Pubblicato il 22 Giugno 2019 alle 13:07
L’adattamento italiano di anime (ma non solo) è sempre stata una delle questioni più discusse (una vexata quaestio direbbero ne I Cavalieri dello Zodiaco di Enrico Carabelli) da quando i c.d. “cartoni animati giapponesi” hanno avuto una certa diffusione in Italia, diciamo con le reti locali prima e le trasmissioni dell’allora Fininvest a cura di Alessandra Valeri Manera. Ovviamente all’inizio dell’esperienza gli adattamenti non consideravano minimamente il materiale originale, con conseguente cambio di nomi (ricorderete che negli anni Ottanta non c’era un anime in cui un personaggio non si chiamasse Roby – cito a caso Sandy dai mille colori e A tutto gas), luoghi e dialoghi.
L’adattamento anime in Italia: brevi cenni storici
Solo con una maggiore consapevolezza di quelli che si sarebbero poi definiti otaku la situazione è (molto) lentamente migliorata, ma praticamente alcuna modifica si è avuta sul piano televisivo generalista, che ha sempre puntato su una occidentalizzazione dei prodotti (con buone motivazioni, su cui tornerò più tardi). L’esempio che notoriamente si porta a questo proposito è l’edizione italiana dell’anime Saint Seiya, da noi, sull’esempio dell’edizione francese, intitolato I Cavalieri dello Zodiaco; il dialoghista Stefano Cerioni e il direttore del doppiaggio Enrico Carabelli hanno stravolto l’anime originale condendolo di citazioni dotte di poeti e scrittori e dando inizio a quello che sarebbe diventato il fenomeno delle c.d. madri veggenti, con il cavaliere di Pegaso che si chiama Pegasus, quello di Andromeda, Andromeda… (solo Sirio ha avuto un po’ più di fortuna…). Un adattamento aulico, come dicevamo, che è entrato nella storia e che ora viene visto con grande nostalgia dalla generazione che lo ricorda nei suoi primi passaggi in TV… gli stessi che anni fa, probabilmente, lo condannavano per eresia.
Il cambio di rotta sull’adattamento invece si è avuto nel mercato dell’home video, grazie a case come Granata Press e Yamato Video che per prime hanno iniziato a importare prodotti anime seguendo un criterio di (tentato) rispetto del materiale originale (anche se non sempre, ricordo l’adattamento dei film di Saint Seiya fedele all’edizione italiana da parte di Granata Press o la “versione alternativa” di Slam Dunk di Yamato).
Gualtiero Cannarsi: da Miyazaki a Evangelion
Poi è arrivata l’allora Dynamic Italia (ora Dynit) e il cambiamento è stato rilevante con edizioni di anime che seguivano un adattamento fedele all’originale, anche grazie al ricorso a degli studi che avevano esperienze cinematografiche più che televisive: tra queste produzioni, Neon Genesis Evangelion, LA serie, arrivò in VHS nei negozi nel 1997 sotto la direzione di Fabrizio Mazzotta (per i primi sei episodi) e Paolo Cortese (per i restanti venti); la serie, per la prima volta nel panorama italiano, vide l’introduzione, con il dialoghista Gualtiero Cannarsi, anche della figura del “direttore artistico di produzione”, incaricato di sovrintendere alla localizzazione, ma con Mazzotta a curare i dialoghi per i primi episodi, che quindi aveva imposto già una direzione. L’adattamento era infatti preciso e fedele all’originale, ma comprensibile ad un pubblico che trascendeva la nicchia degli otaku (gli unici che in effetti DOVEVANO vederlo), tanto da meritare un passaggio televisivo anche su MTV nel 2000.
La mia prima esperienza (cosciente) con un lavoro di Gualtiero Cannarsi è stata al cinema con la nuova edizione di Lucky Red della Principessa Mononoke dello Studio Ghibli; se avete avuto occasione di vederlo sia in edizione Buena Vista che Lucky Red avrete certamente notato il differente grado di attenzione che si richiede allo spettatore con dialoghi che hanno una costruzione grammaticale “leggerissimamente” desueta.
Il 21 giugno, come tutti sapete, Netflix ha reso disponibile tutta la produzione classica di Neon Genesis Evangelion; a causa della scadenza dei diritti, la piattaforma ha dovuto realizzare un nuovo adattamento ed un nuovo doppiaggio, con Gualtiero Cannarsi al timone dell’operazione. Come avrete visto dai social, la reazione al prodotto finito non è stata diversa da quella che Lucky Red ha dovuto affrontare con i film dello Studio Ghibli.
Non mi dilungherò sulla già annosa questione dell’uso del termine Apostolo invece del classico Angelo e non metto in dubbio la passione e anche lo studio che ci sono alle spalle di Gualtiero Cannarsi, che ritengo un appassionato di animazione (soprattutto per quanto riguarda le opere di Miyazaki); ciò che ritengo “sbagliato” è che possa realizzarsi un adattamento di una serie in questi termini e questo per un motivo fondamentale: ritengo che un adattamento debba considerarsi una rielaborazione in relazione alla lingua in cui un prodotto viene tradotto: nel nostro caso Evangelion usa costruzioni grammaticali che rendono difficile la fruizione stessa di una serie che, pur contenendo riferimenti impliciti a vari background, rimane comunque una serie anime che ad un livello base di dialoghi deve essere intellegibile alla prima visione e deve usare una sintassi adeguata (non si può pensare di adattare letteralmente un dialogo, usando la costruzione originaria, dicendo “ci è giunto comunicato che hanno già completato di prendere rifugio“).
Questo è l’adattamento, consentire (in potenza) allo spettatore italiano di ricevere gli stessi dati testuali o metatestuali che ha in potenza ricevuto quello originario. Un esempio sempre in tema anime chiarirà la cosa: sotto il nome Time Bokan sono comprese alcune serie della Tatsunoko che hanno in comune lo stesso tema, i viaggi nel tempo: in Italia sono arrivate nel corso degli anni 4 serie, ovvero La Macchina del Tempo, Yattaman, I Predatori del Tempo e Calendar Men. Ovviamente non tutte sono state curate dallo stesso studio di doppiaggio, per cui, ad esempio, ci troviamo una serie come Calendar Men, che è stata adattata cambiando i nomi dei personaggi di contorno, che in originale facevano riferimento a conduttori o star televisive giapponesi (da noi abbiamo quindi avuto Mike Buonasera o Nando Martellotti): l’unico modo per trasmettere appunto anche al pubblico italiano le battute che i telespettatori giapponesi potevano capire. Nel caso del nuovo adattamento di Neon Genesis Evangelion questa essenziale finalità si perde, a causa di un frasario che crea una barriera per molti insormontabile.
Un anime non deve essere visto come un prodotto di nicchia che solo pochi eletti potranno capire nella loro torre d’avorio dopo magari 5 visioni, ma un prodotto destinato ad essere apprezzato dal pubblico più vasto possibile perchè adattato per esserlo. Sia ben chiaro: non contesto l’uso di un linguaggio aulico, che del resto I Cavalieri dello Zodiaco hanno dimostrato essere perfettamente fruibile da parte anche di un pubblico di bambini; ciò che contesto è renderlo con forme barocche che non hanno a che fare (se mai l’hanno avuto) con un uso corrente della nostra lingua.
Del resto la storia ha dimostrato che gli anime in Italia non hanno almeno televisivamente un pubblico sufficiente a reggerli se non su canali a pagamento; gli esperimenti di Mediaset alla notte o delle reti free dedicate agli anime (Ka-Boom per citarne uno) sono falliti perchè gli otaku sono una percentuale ancora ininfluente e altamente frammentata che non può sopravvivere senza un pubblico generalista che guardi (per curiosità o interesse) il prodotto. Anche per questo ritengo che Netflix potrebbe non aver debitamente considerato il rischio di affidare a Cannarsi un tale impegno per una serie che travalica il mondo otaku.
Ciò detto, non condivido però nemmeno tutte le critiche che sono state rivolte a Cannarsi in queste ultime 24 ore: l’uso di chiamare i personaggi indicandoli prima per cognome e poi per nome, secondo l’uso orientale, a mio parere deve considerarsi corretta in questo caso, data anche l’ambientazione della serie; come corretto è stato adottare la giusta pronuncia del nome di Asuka.
Invece usare l’espressione “stato di furia” al posto di berserk o Unità Prima al posto di Eva-01 l’ho trovato un inutile di più che non migliora il prodotto in italiano, ma sembra solo la prova provata di una volontà di staccarsi dal precedente adattamento, considerato, per qualche strano motivo, non abbastanza puro; volontà che può aver portato ad allentare i confini di un adattamento fruibile, il faro che dovrebbe (a mio parere) guidare ogni professionista.