Rocketman di Dexter Fletcher | Recensione
Pubblicato il 30 Maggio 2019 alle 20:00
Il film è in programmazione nelle sale italiane.
Titolo originale: Rocketman
Durata: 121 min.
Genere: biografico, musical
Regia: Dexter Fletcher
Sceneggiatura: Lee Hall
Cast: Taron Egerton, Bryce Dallas Howard, Richard Madden, Jamie Bell, Steven Mackintosh, Kamil Lemieszewski, Tate Donovan, Stephen Graham, Harriet Walter, Charlie Rowe, Gemma Jones, Tom Bennett, Kit Connor, Bern Collaço, Graham Fletcher-Cook
Produzione: Marv Films, New Republic Pictures, Paramount Pictures
Distribuzione: 20th Century Fox Italia
Data di uscita: 29 maggio 2019
La legge del cinema è piuttosto spietata, al punto che un’opera come Rocketman, entrata in produzione anni prima di Bohemian Rhapsody e molto più intellettualmente onesta sotto ogni aspetto, nella cultura di massa finirà inevitabilmente per essere visto come figlia del successo del film precedente, arrivato prima e quindi per forza di cose considerato l’apripista di questo genere – il biopic musicale – tornato alla ribalta da un giorno all’altro.
La verità è che Elton John batte i Queen – anzi Freddy Mercury – almeno 3 a 0, a cominciare dalle protesti dentali (molto meno invadente quella di Taron Egerton rispetto a quella orribile di Rami Malek), passando per i costumi (vero e proprio punto di forza di Rocketman, esprimono tutto quello che c’è da esprimere e offrono un compendio molto suggestivo alla già suggestiva prova di Egerton) e arrivando all’uso dei brani (qui, usati in stile musical, servono nel 90% dei casi da schietto commento a ciò che la scena ci sta mostrando: ciò che i personaggi non riescono ad esprimere a parole, lo dicono cantando e ballando).
Tasto dolente ancora una volta Dexter Fletcher, che se in Bohemian Rhapsody poteva quanto meno spartirsi le colpe con Bryan Singer – e con la Fox, e con gli altri centomila problemi che avevano causato la debacle artistica di quel film, sanata per lo meno dalla disarmante vittoria commerciale), qui fa tutto da solo e dimostra un’apatia ingiustificabile per un progetto al quale era evidentemente molto legato (essendoselo scelto di sua sponte; per il film sui Queen era stato reclutato). Fletcher riesce a filmare ogni stacchetto musicale allo stesso modo, che debba suscitare malinconia (I Want Love) o fomento (Crockodile Rock), tristezza (Sorry Seems To Be The Hardest Words) o catarsi (Goodbye Yellow Brick Road), ma rimedia in qualche modo grazie alla passione di Egerton e allo spirito da musical del film (non c’è alcuna enfasi nel modo in cui la regia accompagna i numeri musicali, ma per lo meno c’è un buon lavoro a livello coreografico).
La sceneggiatura passa molto tempo a raccontarci di come Elton John sia arrivato al successo e poi abbia rischiato di perderlo piuttosto che dirci come “un ragazzetto paffutello” inglese di nome Reginald Dwight abbia fatto a diventare Elton John, e se tutto procede bene nella prima parte (tutto il film è raccontato molto onestamente in flashback, con Elton che deve fare pace con la sua vita per poterne iniziare una nuova), nella seconda si corre a perdifiato, anche rischiando di creare confusione (e si fa molta confusione ad un certo punto, in una sequenza frettolosissima in cui accadono tantissime cose insieme – litigio con amico, innamoramento, matrimonio, divorzio, litigio con madre e padre adottivo, pace con se stesso, tutto nel giro di due minuti – con sceneggiatura, regia e montaggio che procedono a ritmi diversi).
Ci sono tutti i classicismi del biopic musicale, incluso l’immancabile momento-rivelazione in cui un produttore tronfio boccia senza pensarci due volte quelle canzoni che noi oggi sappiamo invece essere dei classici, e addirittura si cita l’emozione pre-show alla 8 Mile e il sesso spregiudicato in studio di registrazione di The Doors (ma senza quella paura da salto nel vuoto e quell’assenza totale e spregiudicata di pudore che era la forza dei film di due geni del cinema come Curtis Hanson e Oliver Stone), ma è nella stravaganza del suo protagonista che Rocketman riesce a trovare un proprio equilibrio, anche a costo di scambiare per profonda allegoria momenti di kitsch piuttosto sbarazzino, come trasformare Elton/Taron in un razzo al momento della performance del brano titolare.
In Breve
Giudizio Globale
6.5