Game of Thrones 8×03 – The Long Night | Recensione
Pubblicato il 29 Aprile 2019 alle 16:00
“Che cosa diciamo noi al Dio della Morte?”
La migliore azione possibile è quella che al suo interno contiene una narrazione: che sia in tv o al cinema, per avere una compiutezza filmica e non apparire fine a se stessa una sequenza d’azione deve necessariamente portare a qualcosa attraverso qualcos’altro, raccontare una storia – con tutta l’emotività del caso – senza il sostegno del dialogo, ma solo tramite le immagini. Di esempi più o meno recenti ne abbiamo avuti a profusione, dallo sbarco sulle spiagge della Normandia per la conquista delle linee difensive tedesche al cercare di tenere le Gemme dell’Infinito lontane dal folle semi-dio che vuole ottenerle per annichilire l’universo, dalla difesa di una carovana dall’assalto della cavalleria straniera supportata dal fuoco di un drago gigante all’ottenimento dei piani di lavoro di un’astronave-pianeta-arma di distruzione di massa che garantirebbe ad un Impero Galattico un potere troppo grande e terribile per essere contrastato.
Per essere degna di essere raccontata, l’azione deve voler raccontare qualcosa. Più è in grado di farlo tenendo alta la tensione, facendoci temere per la riuscita dell’obiettivo dei protagonisti, più allora può dirsi riuscita: nel corso degli ultimi quarant’anni di narrazione visiva ne abbiamo viste di sequenze riuscite, alcune bellissime, altre dei capolavori in grado di tracciare un solco e rilanciare il grado di difficoltà dell’azione – per scala, logistica, ritmo, emotività.
The Long Night, terzo episodio dell’ottava ed ultima stagione di Game of Thrones, ancora una volta diretto da Miguel Sapochnik, è un capolavoro: non perché sia tanto bello da guardare, ma perché contiene al suo interno un grado di scala, di logistica, di ritmo e di emotività che raramente si sono visti su uno schermo, e casalingo e cinematografico. Ma più di tutto racchiude al suo interno la vera essenza di Game of Thrones, serie tv che negli anni si è guadagnata di diritto della nomina di show terribile, ingiusto e spietato: pensate alla sequenza più terribile dell’intera serie, e prolungatela per 88 estenuanti, frenetici e incalzanti minuti, e avrete ciò che Game of Thrones ha sempre mirato a diventare.
La puntata è un capolavoro di tensione e di liberazione, di audacia e di irripetibilità, di pelle d’oca e cardiopalma, di grandiosità e intimità. Come nessun altro dei migliori episodi della serie – e come nessun altro episodio di ogni altra serie mai prodotta – riesce a mescolare diversi generi (horror, azione, fantasy, guerra, melodramma, tragedia) su diversi substrati narrativi, proseguendo – o in alcuni casi terminando – l’arco narrativo di ogni personaggio nel contesto di un impianto filmico che si alterna di continuo tra grande e piccolo, tra vasto e ristretto, tra immenso e intimo: dal caos del campo di battaglia ai cieli sopra Grande Inverno, dalla sommità delle mura alle profondità claustrofobica delle cripte, dal punto cieco del Parco degli Dei alla piazza, dai cunicoli della struttura interna alle ampia sale.
C’è chi muore come ha vissuto, in difesa della donna che ama e che stima o all’insegna del sacrificio in nome di una causa più grande, e c’è chi vive per essere pronto a morire, ed è in questo bisogno-volontà di concentrarsi esclusivamente sui personaggi a conferire all’episodio una sua unicità, che è tanto epica quanto intimista. Una lunga carrellata attraverso il cortile del castello ci ricorda che siamo qui per questi personaggi, che tutte le storie che ci sono state raccontate sul loro conto hanno portato a questo momento che per loro esistenze sarà fondamentale, ma soprattutto ci specifica che l’episodio sarà tutto su di loro, e non sugli aggressori.
Sapochnik e i creatori dello show, David Benioff e D.B. Weiss, che hanno scritto la puntata (così come le prossime ultime tre), saltano di personaggio in personaggio per esplorare il lato umano della battaglia, e non la battaglia in sé: offre così tanti punti di vista diversi, The Long Night, – o forse solo uno, a ben vedere, quello onnisciente del Corvo con Tre Occhi – che sono la paura, la disperazione e la speranza di riuscire ad arrivare all’alba i veri protagonisti. Ad essere restituito maggiormente, poi, è il desiderio di sopravvivenza che ogni scena di guerra dovrebbe emanare, e che questa fa splendidamente.
E’ evidente nel ritmo dell’episodio, che alterna intense sequenze di combattimento e momenti più “rilassati” con transizioni intelligenti, con notevoli citazioni a illustri predecessori (Il Signore degli Anelli: Le Due Torri su tutti) e momenti storici della serie stessa (Aspra Dimora). Mentre l’azione si sposta all’interno, l’episodio si trasforma progressivamente in un film dell’orrore, uno zombie movie nel quale il combattimento inutile e l’unica cosa da fare è scappare: i meccanismi dell’horror e della suspense si riallacciano alla paura di morire emanata dal campo di battaglia, una sorta di secondo impianto narrativo inferiore al secondo (e infatti si scende sempre più giù, verso le catacombe) durante il quale la battaglia fra bene e male, fra vita e morte, assume connotati non solo metaforici ma anche letterali.
In Breve
Giudizio Globale
10