Dragged Across Concrete di S. Craig Zahler | Recensione

Pubblicato il 17 Aprile 2019 alle 15:00

Il film è stato presentato all’ultima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

La nomina di “John Carpenter del XXI secolo” il regista S. Craig Zahler se l’era già conquistata con il clamoroso film d’esordio Bone Tomahawk e poi l’aveva calcificata con Brawl In Cell Block 99: con la sua nuova fatica, Dragged Across Concrete,  presentata in anteprima alla scorsa Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e arrivata negli Stati Uniti dal 22 marzo, alimenta una filmografia sempre più essenziale, e per messa in scena e per rilevanza nel contesto del b-movie indipendente che sta sempre più scomparendo dai cinema di tutto il mondo.

Nel cinema di Zahler ogni film è un manifesto della sua visione, tutto ruota intorno a uomini duri guidati da codici morali rigorosi ma che per un verso o per un altro finiscono sempre per prendere la decisione peggiore possibile, in un continuo e perverso gioco al rilancio in cui tutto diventa sempre più ingestibile e asfissiante: per questo autore dalla mentalità nichilista e la messa in scena magistrale la vita è una continua lotta nelle sabbie mobili, con l’agitarsi in cerca di spazio che porta inevitabilmente alla riduzione sistematica di quello spazio, che intrappola, soverchia, schiaccia, uccide.

Come Carpenter Zahler (oltre a comporsi pure lui le proprie colonne sonore!) gioca con i generi e li adatta alla sua visione, unendoli in un connubio di atmosfere e pragmatismo da serie b ad una tecnica da scuola del cinema, tutto per raccontarci la società contemporanea e i lati più oscuri della natura umana: lo aveva fatto con il camaleontico Bone Tomahawk nel 2015 e poi ancora con Brawl due anni dopo, e in Dragged Across Concrete, ad oggi il suo film più lungo (due ore e quaranta!) e anche quello più politico, ripropone un’altra sceneggiatura ridotta all’osso – ma carica di situazioni e dialoghi che con poco rivelano tantissimo – che straripa di ironia sottile e tagliente, di una violenza grafica inaudita e soprattutto di una voglia pazzesca di andare dritti al punto, senza giri di parole o ghirigori.

Nell’epopea noir con protagonisti Mel Gibson e Vince Vaughn – che si ritrovano dopo aver lavorato insieme sul set de La Battaglia di Hacksaw Ridge, diretto proprio da Gibson – succedono così tante cose che un qualunque altro regista all’infuori di Zahler avrebbe aggiunto dettagli di fondo al materiale di partenza per realizzare una mini-serie tv: aggiungere è però un termine che non compare nel vocabolario di questo autore, e il risultato è una narrazione in cui nulla è accessorio e tutto è fondamentale, da personaggi che vengono introdotti in una scena e poi buttati nel mondo a farsi investire dagli eventi (che come al solito rappresentano una progressiva discesa all’inferno) a sequenze d’azione magistrali messe in scena con una calma chirurgica e una precisione che rifugge la frenesia, perché consapevole dell’esito finale.
Non sorprende la funzione allegorica che Zahler infonde ad alcuni passaggi, una costante del suo modo di fare cinema, ma non per questo meno lodevole. Fortemente politicizzato, Dragged Across Concrete sembra voler sottolineare quanto la percezione che la società ha dei suoi individui stabilisca l’identità di quegli individui, in un gioco di gatto col topo fra percezione pubblica e contesto privato: si può essere accusati di razzismo dall’opinione pubblica anche se profondamente innamorati di una donna di colore con la quale si convive e che si vuole sposare ad ogni costo, e più che i proiettili e i fucili sono le fotocamere dei cellulari l’arma definitiva per vincere ogni partita a scacchi della vita, che essa prenda luogo di giorno negli uffici o negli oscuri anfratti del sottobosco criminale.
Che le due morti eccellenti della storia ruotino entrambe intorno all’utilizzo di un cellulare riassume questo tema in maniera sublime: siamo indissolubilmente e definitivamente legati ad esso, al punto che la nostra fine arriva con la sua distruzione.

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