Il Trono di Spade 8×01 – Winterfell | Recensione
Pubblicato il 15 Aprile 2019 alle 20:00
“Sto aspettando un vecchio amico”.
Anche tutto il mondo stava aspettando e soprattutto ne annusava l’incombenza, non grazie a qualche sorta di potere mistico da Corvo con Tre Occhi ma per via della colossale campagna marketing che la HBO ha costruito intorno al ritorno, per l’ultima volta, di una delle serie televisive più importanti della storia del medium, di certo quella fondamentale degli ultimi dieci anni.
Con soli sei episodi a disposizione – anche se il minutaggio totale alla fine, grazie a ben quattro episodi di circa ottanta minuti, conterà come per sette puntate da un’ora e poco più – c’era curiosità intorno alla premiere, nelle specifico per scoprire se gli showrunner David Benioff e D.B. Weiss l’avrebbero utilizzata per tirare subito le somme, riunire personaggi rimasti separati dalla prima (dalla prima!) stagione, mettere in scena abbracci strappalacrime e sceneggiare dialoghi rischiosissimi, capaci – se sbagliati anche solo di un minimo – ridurre in farsa anni di aspettative.
L’attacco, insomma, non andava sbagliato: perché così come nei film, nei romanzi e sì, perfino negli articoli, è semplicemente fondamentale.
E Game of Thrones 8 inizia benissimo, già dalla prima inquadratura.
Come Frodo Beggins all’inizio de La Compagnia dell’Anello correva per boschi per non perdersi il ritorno a Hobbyville del suo vecchio amico Gandalf il Grigio, così il regista David Nutter allestisce la scena dell’arrivo a Grande Inverno della maggior parte dei protagonisti dello show: la cinepresa, con fare spielberghiano, segue e svela gradualmente la meraviglia di un bambino del Nord che, notato l’accalcarsi di gente fuori dalle botteghe e lungo la strada, si affretta a cercare di capire cosa stia succedendo.
Ed ecco Arya, mischiata fra la folla; e poi un esercito in scure armature che avanza in una marcia decisa e apparentemente inarrestabile; una regina, addirittura, bellissima nel suo abito color ghiaccio e i capelli ancora più chiari, lo sguardo di vetro e il sorriso deciso; al suo fianco il Re del Nord – o per lo meno colui che era partito da quel castello in qualità di Re del Nord – e con loro due, anzi sopra loro due, dei draghi giganti.
E’ chiaro che, negli intenti degli showrunner, quel bambino siamo noi: il pubblico ansioso che ha atteso e atteso, e che adesso finalmente assiste all’arrivo dei suoi propri eroi. C’è una forza, in quella scena, che non dice niente ma che dice già tutto, in grado di strappare un sorriso di soddisfazione anche allo spettatore che più esita a palesare il proprio entusiasmo.
Da lì è tutta in discesa – letteralmente, nel caso della magnifica scena della danza dei draghi, evidentemente ispirata a quelle della saga di Dragon Trainer, cui Kit Harington neanche troppo casualmente è legato – per una puntata d’impostazione molto teatrale, molto televisiva, in cui semplicemente personaggi così a lungo separati finalmente si rincontrano, si dicono quello che si devono dire e risolvono i problemi rimasti irrisolti in questi anni.
Al di là delle strette di mano, degli abbracci – ottimo il ribaltamento di ruoli tra Tyrion e Sansa, lui un ex uomo più intelligente del mondo e lei neo-donna stratega e calcolatrice – e prevedibili frettolosità (Theon e Asha, cui però vengono affidati subito due ruoli importantissimi perché dalla prossima puntata non ci sarà più tempo da perdere) è la rivelazione a Jon Snow della sua vera identità a rappresentare il punto meglio articolato dello svolgimento: si trattava di un momento di sceneggiatura delicatissimo (come far coincidere nello spettatore la stessa sorpresa che proverà il personaggio, quando in realtà lo spettatore lo ha già anticipato in quell’epifania?), che però Weiss e Benioff in perfetta chiave sadica alla George R.R. Martin hanno sapientemente ribaltato: che si chiami Jon Snow o Aaegon Targaryen, il nostro ha sempre dimostrato di essere degno di salire al Trono di Spade, legittimo erede o meno, anche se a quella corona non ha mai neanche minimamente pensato; Daenerys, che invece da sempre ha come fine ultimo quello di ripristinare la dinastia della sua famiglia, riuscirà a dimostrarsi tale agli occhi del Nord e di Westeros?
Tra i molteplici rincontri, poi, è quello più insospettabile a godere del maggior lustro, chiudendo in cliffhanger l’episodio: Jaime Lannister, colui che proprio a Grande Inverno, nell’ormai lontanissimo 2011, si presentò al mondo come assassino di bambini, ha affrontato un arco narrativo che lo ha catapultato in cima alle classifiche dei personaggi più amati della serie; adesso la sua redenzione è giunta all’ultimo step, quello in cui dovrà letteralmente fare ammenda col suo più grande crimine.
Un grande intreccio per un episodio il cui più grande rischio poteva essere quello di risultare non solo deludente, ma addirittura banale, definizione che uno show come questo proprio non si sarebbe meritata: così non è stato.