Fosse/Verdon 1×01: la vita è un cabaret | Recensione in anteprima
Pubblicato il 10 Aprile 2019 alle 15:00
La miniserie biografica sarà in Italia dal 18 aprile su FoxLife.
C’è tanto Cabaret, un pizzico di Chicago e in generale un rocambolesco e cinico dietro le quinte in Fosse/Verdon, la miniserie biografica basata sul libro Fosse di Sam Wasson, che vuole raccontare il legame professionale e sentimentale tra il coreografo Bob Fosse e la ballerina Gwen Verdon e di come i due sfidarono le regole del mondo dell’intrattenimento. La miniserie è in onda dal 9 aprile negli Usa su FX e dal 18 alle 21.00 in Italia su FoxLife.
Ribelli e anticonformisti entrambi, lui emblema dell’artista incompreso, cocciuto, mal sopportato dai colleghi, lei invece adorata da tutti, professionale, cauta ma non per questo meno coraggiosa. Un rapporto di coppia, come spesso capita nell’ambiente dello spettacolo, fatto di emozioni portate all’eccesso, di rinfacciamenti e dolori sopiti. Tutto un po’ troppo da biopic tradizionale, se non fosse per l’interpretazione sopra le righe da un lato di Sam Rockwell (reduce dal successo di Tre manifesti a Ebbing, Missouri) e dall’altro di Michelle Williams (che ha interpretato un’altra icona dello show business al cinema, Marilyn), anche se è lei quella che davvero risplende.
Gwen Verdon, considerata la più grande ballerina di Broadway di tutti i tempi, era una maestra di grazia bellezza e allo stesso tempo di precisione nell’esecuzione e di bravura nel fare da mediatrice per l’incompreso compagno, odiato da molti sul set, che fosse tetrale e cinematografico. Il merito (non accreditato) per i successi del marito era insomma suo.
Bob Fosse, coreografo, ballerino e visionario regista, dopo aver lavorato per la tv diresse Shirley MacLaine in Sweet Charity – Una ragazza che voleva essere amata (1969) e da quel successo – ecco la storia raccontata in Fosse/Verdon – potè firmare i suoi capolavori come Cabaret (1972) con Liza Minnelli, il musical teatrale Chicago (1975), Lenny (1974) con Dustin Hoffman e All That Jazz – Lo spettacolo comincia (1979) con Roy Scheider.
Una regia quella di Fosse/Verdon che sembra dovere qualcosa al Jean-Marc Vallée di Big Little Lies e Sharp Objects e al suo modo di montare piccoli frammenti di ricordo a intervallare le sequenze “contemporanee” dei protagonisti per raccontare qualcosa di loro, un pezzo alla volta. Ma un pezzo fugace, opaco, che solo alla fine di tutte le puntate probabilmente andrà ricostruito. Quasi come se spiassimo nell’infanzia di Bob e Gwen, soprattutto in quella di Fosse, almeno nel primo episodio.
La “messa in scena nella messa in scena” ricorda un po’ Feud: Bette and Joan di Ryan Murphy, ma senza quella patina di senza tempo e soprattutto senza le emozioni che la scrittura di Murphy sa sempre regalare. Qui risulta tutto troppo meccanico, costruito e meno fluido e “naturale”. Fosse/Verdon è troppo impeccabile, al rischio di risultare fredda e “già vista” per lo spettatore.
Non potevano mancare, proprio come in Feud, le grandi star del passato interpretate da attori più o meno emergenti, con quindi una grande responsabilità sulle spalle. Tra gli altri, Bianca Marroquín è Chita Rivera, Kelli Barrett è Liza Minnelli, Laura Osnes è Shirley MacLaine, e ancora Brandon Uranowitz è Dustin Hoffman per raccontare quel passaggio di carriera di Fosse che lo consacrò definitivamente ai posteri, e anche le scenografie e la regia giocano sulla commistione di mondi (palco, grande e piccolo schermo). Le guest star sullo schermo divengono così la ciliegina sulla torta di questo mondo che racconta se stesso, proprio come in Birdman, un incrocio surreale fra cinema, teatro e televisione.