Copia Originale di Marielle Heller | Recensione

Pubblicato il 20 Febbraio 2019 alle 18:00

Il film arriverà nei cinema italiani a partire dal 28 febbraio.

La cosa più interessante di Copia Originale di Marielle Heller è la sua natura ricercatamente respingente: ruotando intorno ad una protagonista antipatica, burbera e con la quale è quasi impossibile relazionarsi – è una ladra arrogante che tratta male chiunque e crede di essere migliore tanto di Dorothy Parker quanto di Tom Clancy, nonostante il suo unico talento (e il film ce lo dice) sia quello di copiare chi è più brava di lei – il film sfida continuamente lo spettatore, quasi chiedendogli di andarsene, quasi tentando di allontanarlo, esattamente come la Lee Israel di Melissa McCarthy fa con chiunque le capiti attorno (gatta esclusa).

La Israel, acclamata biografa che tra gli anni Settanta e Ottanta ha raggiunto il successo raccontando le vite di Katherine Hepburn, Tallulah Bankhead, Estée Lauder e della giornalista Dorothy Kilgallen, quando inizia il film si ritrova completamente sola, senza un briciolo di idea, senza soldi e con un grosso problema di alcolismo (quest’ultimo però il film ce ne parla e basta, non ce lo mostra mai). Da anni non viene pubblicata,   perché ormai fuori dal mercato editoriale, e un giorno scopre un modo facile e veloce per fare soldi: con la complicità del suo nuovo amico Jack (Richard E. Grant), userà il talento che così tanto crede di avere per realizzare false lettere di persone famose da vendere ai collezionisti.

Potrebbe quasi sembrare lo spunto perfetto per un film di Dan Gilroy ma non lo diventa mai, perché la Heller è evidentemente molto affascinata dalla figura della Israel, la compatisce invece di disprezzarla (come fa invece Gilroy coi suoi “eroi”), non usa il pugno duro ma il guanto di velluto, e di conseguenza l’opera, per quanto strutturalmente esemplare, non esula mai dal semplice compitino e rimane sempre priva di mordente anche quando la narrazione invece lo richiederebbe. Il ritmo non comunica mai la sensazione di fiato sul collo e/o pericolo che invece la sceneggiatura ci suggerisce continuamente,  assumendo addirittura, ad un certo punto anche se breve, i tratti di un heist movie, con la protagonista che dalla seconda parte in poi sarà continuamente braccata da individui che invece noi non vedremo mai.

Tutta la vicenda ci spinge a pensare di star guardando una persona in procinto di scavarsi la propria fossa da sola, ma il montaggio e la regia vogliono andare da tutt’altra parte, puntando sul delineamento caratteriale di una protagonista per la quale dovremmo fare il tifo, ma per cui è davvero difficile parteggiare: ed è un peccato che il punto debole del film, da un punto di vista narrativo, sia proprio la sua protagonista, interpretata ottimamente dalla McCarthy. Data l’idea commerciale da One Woman Show alla del progetto, l’opera avrebbe fatto meglio ad assicurarsi di avere spalle ben più solide sulle quali poggiare rispetto a quelle sulle quali invece è stata eretta, e la sceneggiatura in questo non aiuta ad aiutare è senza dubbio la McCarthy, ottima a sbarazzarsi, già dai primi minuti, di un’intera filmografia dedita alla comicità.

E’ senza dubbio lei a salvare un film noiosamente ordinato, fin troppo privo di qualsivoglia spunto se non quello del voler raccontare l’ennesima storia vera tanto assurda da calzare a pennello nei panni di un film.

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