Alita: Angelo della Battaglia di Robert Rodriguez | Recensione

Pubblicato il 15 Febbraio 2019 alle 12:05

Il nuovo film di Robert Rodriguez, scritto e prodotto da James Cameron, è in programmazione in tutte le sale cinematografiche italiane dal 14 febbraio.

Se è vero che gli occhi sono lo specchio dell’anima, allora l’anima di Alita: Angelo della Battaglia è grossa così tanto da brillare e catturarti: ma l’anima è qualcosa di incorporeo, che perfino gli umani potrebbero non avere, figuriamoci i cyborg (Blade RunnerGhost in the Shell), e al suo posto ciò che ci rende davvero unici sono due cose, i ricordi e il cuore.

I primi la protagonista Alita (Rosa Salazar) dovrà cercare di riottenerli, perché li ha perduti (da dove viene? qual è il suo nome? quanti anni ha?), però in lei sono rimasti di certo mente e cuore, l’ultimo addirittura così straripante che a un certo punto lo prenderà in mano per porgerlo, per donarlo in segno d’amore; ed è sicuramente un film di mente e di cuore quello di Robert Rodriguez, che non si limita a fare da prestanome al produttore James Cameron ma qualcosa di suo ci mette, soprattutto nelle sequenze d’azione, aggirando con sapienza il PG-13 per mostrarci la sua tanto amata violenza sia in campo che fuori, giocando sui corpi cibernetici dei personaggi per evitare di gettare la vicenda nei toni grotteschi delle budella che penzolano o delle mani che perforano enormi crani (c’è anche una rissa da bar, un must della filmografia del regista messicano).

Ma per quanto sia lodevole il salto al cinema blockbuster di fantascienza (anticipando quello imminente del compagno di giochi Quentin Tarantino, impegnato nella stesura di una sceneggiatura di un prossimo Star Trek) è evidente quanto sia innanzitutto un film di mr Cameron, questo Alita: Angelo della Battaglia.

Non solo produttore ma anche sceneggiatore (è il primo film che il regista scrive per qualcun altro dai tempi del meraviglioso capolavoro che ancora oggi è Strange Days di Kathryn Bigelow), James Cameron scrive uno script che è tanto incoerente e frettoloso quanto riassuntivo della sua intera filosofia di cinema: Alita rappresenta proprio l’anello mancante di quella filosofia, dell’ingegneria come magia cinematografica, una tesi che l’autore canadese porta avanti da sempre e del quale è assoluto sostenitore: quella del miglioramento del corpo umano attraverso la bioingegneria.

E non è un caso che Cameron abbia iniziato a fantasticare di portare il manga di Yukito Kishiro sullo schermo nel lontano 2000, ovvero nella fase della sua carriera che era sia post-Titanic e post-Strange Days che soprattutto pre-Avatar, perché dopo averci mostrato l’utilizzo di protesi per sconfiggere l’alieno in Aliens: Scontro Finale, la collaborazione con il cyborg necessaria alla sopravvivenza in Terminator e Terminator 2  e la volontà di innestarsi nuovi ricordi – per modificare il proprio io – in Strange Days, quella di migliorare il proprio corpo di carne mortale con parti cibernetiche sostituibili (e quindi, teoricamente, in grado di portare all’immortalità) è una tappa fondamentale per arrivare poi alla sostituzione di un intero corpo, o al sogno di quella sostituzione, che come sappiamo ci ha mostrato in Avatar.

Nella teoria, questo Alita: Angelo della Battaglia, e soprattutto nel contesto della filmografia del suo autore, e dell’evoluzione di quella filmografia, è un film imperdibile. Nel contesto di una storia del cinema di fantascienza che ci parla di questi temi dal 1982 lo è un po’ meno, specie considerando che nel costruire il (visivamente fantastico) mondo di Alita Cameron e Rodriguez ci tirano dentro decine di altri film, più o meno recenti, da Elysium a Wall-Eda Ex-Machina a A.I.: Intelligenza Artificiale (che a sua volta già si rifaceva a Pinocchio, cosa che Alita crede di fare in maniera originale), rifacendo la stessa summa di un intero genere che già Blade Runner 2049 aveva fatto a fine 2017.

Ma qui non c’è quella ricercatezza art-house che contraddistingueva il film di Denis Villeneuve (e che ne è stata anche la rovina, per certi aspetti, soprattutto nell’ultimo atto), qui si vuole riflettere lo spirito teen dei protagonisti e donare (oltre) trent’anni di fantascienza alle nuove generazioni, che con questi protagonisti possono rispecchiarsi meglio di tutti: è un film per ragazzi Alita: Angelo della Battaglia, si rivolge a chi guarda il cinema dal 2000 in poi e ignora completamente ciò che è venuto prima, come una strana linea di demarcazione che pretenda di andare solo in avanti senza mai voltarsi, anche a costo di sembrare spregiudicato, anche a costo di puzzare di già visto a chi ha qualche anno in più sulla carta d’identità. E’ un film che parla a chi è nato nel 21esimo secolo, cercando di riassumere il cinema del genere del 20esimo in 122 minuti.

Una mossa ambiziosa che nel bene e nel male merita la risonanza che cerca, e che sicuramente la troverà nei neofiti.

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