L’Esorcismo di Hannah Grace di Diederik Van Rooijen | Recensione
Pubblicato il 31 Gennaio 2019 alle 11:00
Il film sarà nelle sale cinematografiche italiane a partire da oggi 31 gennaio.
Lo spunto più originale de L’Esorcismo di Hannah Grace è la trovata di iniziare quando invece molti altri film appartenenti a questo filone finirebbero, ovvero la morte della ragazza posseduta: che fine fa il demone che è nel suo corpo, se quel corpo muore clinicamente? Per metterla in altro modo, cosa accade dopo i titoli di coda di un film sulla possessione demoniaca?
Purtroppo il regista olandese Diederik Van Rooijen più in là di così non ha il coraggio, i mezzi, l’ambizione o il talento per spingersi, e si limita a realizzare un horror che prova a fare di tutto per agitarsi e mettersi in mostra, terrorizzare e disgustare, senza però riuscirci mai non tanto per la storia raccontata e la sua ambientazione, quanto per la poca originalità con la quale la storia viene trattata.
Esattamente a metà fra il seminale L’Esorcista di William Friedkin e del recente Autopsy di André Øvredal, il film racconta la storia di Megan Reen (la Shay Mitchell di Pretty Little Liars), ex poliziotta ancora in lutto per la morte del compagno che viene incaricata di sorvegliare un obitorio durante il turno di notte.
Se Leon S. Kennedy in Resident Evil 2 durante il suo primo giorno si ritrovava a dover fare i conti con un’apocalisse zombie, Megan riceve invece in consegna il cadavere sfigurato di una donna.
Tutto sembra normale finché un uomo, che la nostra giudica un senzatetto, prova a fare irruzione nell’edificio per dare fuoco al corpo, sostenendo che non si tratta di un cadavere qualunque: è Hannah Grace (Kirby Johnson), una ragazza morta tre mesi prima durante un tentativo di esorcismo. E molto presto Megan si renderà conto che il demone che era dentro di lei potrebbe non essere stato cacciato del tutto.
Il film riuscirà a sorprendervi a più riprese, a patto però che non abbiate mai visto altre opere affini: la regia pecca di mancanza di creatività e lo sviluppo non esattamente sorprendente della vicenda (figlia di una sceneggiatura, firmata da Brian Sieve, che è più simile ad uno zibaldone di cliché che ad un copione vero e proprio) non viene mai elevato da idee visive originali. Fatta eccezione per dei non specificati né tanto meno ben definiti poteri sovrannaturali, la Hannah Grace che dà il titolo al film non si distingue poi tanto dalla Regan MacNeil del film di Friedkin, a causa di una somiglianza (di gesti e/o abilità disarticolanti) troppo ostentata: il tentativo di giocare con i corpi e con le ossa (come nel recente Suspiria di Luca Guadagnino) invece che con le menti, come invece accadeva ne L’Esorcista, sarebbe stato anche interessante, sebbene Rooijen a forza di abusarne riesca a renderlo ripetitivo nell’arco di soli 80 minuti.
L’unica altra idea degna di nota, vale a dire lo sfruttamento della luce e del sound design – ovviamente ben lontana dall’essere originale ma comunque potenzialmente vincente – si trasforma nell’ennesimo passo falso, dato che tutto è così buio che, banalmente, spesso si fa fatica a seguire l’azione a schermo: la scelta estetica, che avrebbe dovuto alimentare ansietà e terrori vari ed eventuali, paradossalmente risulta invece controproduttiva.