La Favorita di Yorgos Lanthimos | Recensione

Pubblicato il 24 Gennaio 2019 alle 16:00

Arriva in Italia il nuovo film di Yorgos Lanthimos, La Favorita, con Olivia Colman, Rachel Weisz ed Emma Stone.

Dopo aver ingurgitato e riletto lo sguardo distaccato, algido e imperturbabile di kubrickiana memoria nel magniloquente e tragico Il Sacrificio del Cervo Sacro, il regista greco Yorgos Lanthimos vira al cinema commerciale nel modo più nobile e intellettualmente onesto che ci sia: La Favorita, evidente tentativo di ricerca della definitiva consacrazione da parte dell’industria che conta sul serio (quella hollywoodiana), non è affatto il miglior film di questo straniante autore ma di certo è il più digeribile, il più divertente e il più vendibile (e non a caso l’Academy giusto ieri, a poche ore dall’arrivo dell’opera nelle sale nostrane, lo ha osannato con ben dieci nomination, magari aiutando le sorti del film nel mercato italiano) e soprattutto ha il pregio di non sacrificare, neanche per un secondo, neanche per un’inquadratura o una linea di dialogo, lo stile calcato, auto-ironico e spietato delle opere precedenti.

Pensate: dal 2011, con il folgorante esordio di Kynodontias, passando per Alps, The Lobster e il succitato Il Sacrificio del Cervo Sacro, le nomination agli Academy Awards erano state solo due (film straniero per Kynodontias, sceneggiatura originale per The Lobster, con Il Sacrificio, la sua opera più bella e terribile, completamente snobbato dopo la vittoria per la sceneggiatura a Cannes): La Favorita invece è la favorita di tutti i votanti dell’Academy, con ben dieci candidature incassate (tante quante Roma di Alfonso Cuaron), record di Eva contro Eva sfiorato (unico film nella storia ad aver ricevuto quattro nomination per le attrici femminili, due protagoniste – Bette Davis e Anne Baxter – e due non – Celeste Holm e Thelma Ritter) e il “rivale” Maria Regina di Scozia completamente surclassato e relegato al dimenticatoio.

Sarà interessante scoprire se il pubblico delle nostre sale sarà interessato ad un altro dramma storico in costume, ad una sola settimana dal mediocre film con Margot Robbie e Saoirse Ronan, ma indubbiamente l’offerta è ben diversa.

Ambientato in Inghilterra nei primi anni del XVIII secolo, La Favorita racconta lo strano triangolo fra la regina Anna (Olivia Colman), la sua favorita lady Sarah Churchill (Rachel Weisz) e la sua serva, nonché cugina, Abigail Masham (Emma Stone). Lady Sarah, che si prende cura della fragile e malata regina amministrando il paese in tempo di guerra (con la Francia) e gestendo tanto le casse dello Stato quanto i vari lord che ambiscono al ruolo di Primo Ministro, troverà un piccolo ma sostanziale aiuto proprio nella cugina Abigail, sempre più disponibile tanto con lei quanto con la regina.

Per Abigail infatti l’arrivo a corte è l’occasione di tornare alle radici aristocratiche da cui discende, ma che ha perso per motivi che non vi sveliamo. E siccome gli impegni politici legati alla guerra richiedono che lady Sarah passi sempre più tempo in Parlamento, la giovane serva di nobili natali coglierà l’occasione per insinuarsi nel cuore e nelle grazie della sovrana. Ma a lady Sarah la cosa non andrà molto a genio.

In pratica l’infatuazione per Kubrick continua, nella filmografia di Lanthimos, ma se ne Il Sacrifio del Cervo Sacro la forma veniva adattata al contenuto (il film con Colin Farrell e Nicole Kidman portava nell’era moderna le atmosfere infauste della tragedia greca), ne La Favorita è molto di più il contenuto a prevalere: siamo infatti dalle parti di un Barry Lyndon al femminile (anche la fotografia al naturale è figlia di quell’opera), con il senso di tragica epicità che circondava quel tipo di arrivismo che qui viene leggermente affievolito dai toni farseschi tipici della poetica dell’autore.

I contenziosi morali di queste tre donne, magnificamente scritte e ancor meglio interpretate, sono perfettamente calzanti – a livello sociale e politico – ai tempi che corrono: tutti intorno alla regina, a cercare di ingraziarsela, spesso dimenticandosi che sarà sempre e comunque lei a comandare; il paragone con le storie di carrierismo da industria del cinema è raffinato, ma forse per timore di destare troppo scalpore viene tenuto nascosto da una metafora (quella dei conigli) più scontata ed evidente, per quanto scaltra.

Ma è sempre superbo il modo in cui questo regista odia i suoi fetidi – e sempre colpevoli – protagonisti: la sceneggiatura spinge lo spettatore a fare il tifo ora per Sarah ora per Abigail, ma è evidente che Lanthimos non vede l’ora che si rivelino per ciò che sono realmente, così da poter gioire dei loro drammi e delle loro sconfitte.

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