Glass di M. Night Shyamalan | Recensione

Pubblicato il 10 Gennaio 2019 alle 21:05

Il film arriverà nelle sale italiane dal prossimo 17 gennaio.

Nel 2019, adesso che il cinecomic è ormai solidificato come genere cinematografico, l’arrivo di un’opera che ragionasse sui suoi stilemi e tropi narrativi era non solo auspicabile, ma anche forse necessaria. Con Glass il regista M. Night Shyamalan sembra aver intuito questo bisogno artistico, e infatti non è un caso che i momenti migliori, quelli più soddisfacenti del film con James McAvoy, Bruce Willis e Samuel L. Jackson, siano quelli che procedono in questa direzione, che si interrogano sul senso delle storie di supereroi e sulla loro importanza tanto nell’immaginario collettivo quanto nell’industria cinematografica.

Il problema è che il regista, forse spaventato dalla sua stessa nomea di sorprendente narratore (non per niente dalle sue generalità è stato coniato il termine Shyamalan Twist), trovandosi di fronte alla scelta di perseguire questa necessità filologica o di battere il celebre chiodo ancora caldo dell’Universo Narrativo opta per la via più commercialmente sicura, orchestrando una conclusione che conclusione tanto non è ma che di certo gli garantirà, in futuro, la possibilità di continuare questa non-saga nata ormai diciannove anni fa.

Il colpo di scena col quale si concludeva Split  – film che iniziava in un modo e retroattivamente diventava altro – è uno dei più grandi mai orchestrati nella storia del cinema, frutto dell’irripetibile connubio fra un livello di segretezza di produzione rarissimo (specialmente oggi) e di una trovata commerciale geniale, naturalmente pensata per cavalcare l’onda del successo del genere dei supereroi al cinema. Purtroppo però Glass non è una somma superiore delle singole parti che lo compongono, e semmai è la prova che un film grandioso e pionieristico come Unbreakable, sommato ad un thriller sofisticato e intelligente come Split, non fa necessariamente un progetto altrettanto grandioso.

Crossover/sequel dei due thriller scritti e diretti da Shyamalan e con protagonisti Bruce Willis e James McAvoy, Glass inizia diciannove anni dopo lo scontro barra fine dell’amicizia fra David Dunn (Willis) e l’Uomo di Vetro, Elijah Price (Samuel L. Jackson) e a pochi mesi dalla liberazione di Casey Cooke (Anya Taylor-Joy) dalle grinfie del temibile e feroce killer Kevin Wendell Crumb (McAvoy), psicopatico dentro cui abitano ben ventiquattro personalità.

I tre soggetti finiranno fra le cure della dottoressa Ellie Staple (Sarah Paulson), il cui obiettivo è quello di convincerli (e, di riflesso, convincere anche lo spettatore) che non ci sia nulla di sovrumano nelle abilità dei protagonisti, che al contrario sarebbero vittime di gravi traumi psicologici e fisici: la sua tesi è che questi fantomatici “superpoteri” siano assolutamente spiegabili scientificamente, ma né Shyamalan né il film le danno troppa corda se non fatta eccezione per una scena, che è la più bella di tutte.

Se Glass avesse avuto il coraggio di dubitare di se stesso e di spingere il proprio pubblico a rileggere in retrospettiva l’opera com’era già stato con i due capitoli precedenti sarebbe potuto essere il manifesto di un’intera filmografia, ma evidentemente l’obiettivo del regista era solo quello di chiosare una non-saga nata un po’ per caso e darle una conclusione degna, lasciandosi contemporaneamente tante porte aperte per i prossimi progetti. Certo è suggestivo pensare – e il finale di questo Glass spinge in tale direzione – che ogni nuovo film dell’autore potrà essere in qualche modo riconducibile a questo “Universo”, ma a livello contenutistico e tematico era lecito aspettarsi di più.

Resta una regia sublime, che torna alle raffinate rigidità dei primi lungometraggi, mentre le interpretazioni delle tre star conferiscono alla vicenda quel realismo che l’autore cerca ardentemente: il passaggio del tempo è tutto nei volti di Jackson e di Willis – acciaccati, invecchiati, stanchi – mentre il talentuoso eclettismo di McAvoy (qui alla prova migliore della sua carriera) accompagna i diversi ritmi della narrazione. Quasi del tutto inutile il cast di supporto, col triangolo composto dalla Taylor-Joy, Spencer Treat Clark e Charlayne Woodard (che tornano da Unbreakable) molto forzato, come sono forzati moltissimi passaggi di sceneggiatura.

In sostanza Glass è un capitolo finale (?) che non si frantuma mai del tutto come le ossa de L’Uomo di Vetro, alias Mister Glass, ma che di certo sembra ugualmente fragile se confrontato all’indistruttibile Unbreakable e al folle Split.

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