Cold War di Pawel Pawlikowski | Recensione
Pubblicato il 18 Dicembre 2018 alle 20:00
Arriva in Italia il nuovo film del regista polacco Pawel Pawlikowski.
Dopo aver trionfato agli European Film Awards, durante i quali è stato eletto miglior film e premiato nelle categorie di regia, sceneggiatura, attrice e montaggio, è finalmente arrivato anche nelle sale italiane Zimna wojna, meglio conosciuto col titolo internazionale Cold War, nuovo film del regista polacco Pawel Pawlikoski.
Il film, dramma d’amore che è tanto epico nella dilatazione temporale quanto economico nella messa in scena, è ambientato in Europa nel periodo della Guerra Fredda e racconta la tragica storia d’amore fra un compositore e una cantante polacchi: la vicenda si sposta continuamente fra la Polonia, la Germania, la Francia e la Jugoslavia, in un arco temporale che va dal 1949 al 1964, con luoghi geografici e tempi scanditi dai diversi generi musicali (canti folkloristici polacchi, inni sovietici, jazz e perfino un po’ di rock ‘n’ roll nei locali parigini, che racchiudono tutto il progressismo occidentale).
La ricercatezza quasi manierista con la quale Pawlikowski esaspera la parsimonia dei mezzi cinematografici che ama utilizzare è certamente peculiare ed estremizza ancora di più la sua visione squisitamente ermetica: la fotografia rigorosamente in bianco e nero, un formato in 4/3 proveniente direttamente da un modo di fare cinema che non esiste più, un minutaggio risicato ai limiti dell’avarizia (88 minuti appena!); è come se sceneggiatore e regista – che pure sono la medesima persona – non siano d’accordo su ciò che il film debba essere, con il primo che ha pensato una storia d’amore tragica dal respiro epico (la guerra, gli anni, le distanze) e il secondo che ha ridotto il tutto ai pochi, laconici momenti di gioia nei quali i due amanti si rincontrano, quei pochi giorni nei quali il loro amore può essere vissuto, in maniera quasi leopardiana, in attesa della prossima sofferenza, del prossimo distacco forzato.
Recentemente abbiamo visto Alfonso Cuaron che con ROMA ha voluto simulare il neorealismo felliniano, rivedendolo però attraverso le sue esperienze e soprattutto il suo modo di fare cinema. Con Cold War Pawlikowski piuttosto che imitare pretende di rifare lo stesso modello di cinema cui si ispira, rievocando non solo l’epoca ma anche i mezzi e lo stile del cinema dell’Europa dell’Est del dopo guerra. Il tutto attraverso una sensibilità e una leggiadria che però sono modernissime.
La vicenda raccontata si presterebbe con gioia all’afflato di un kolossal della Hollywood classica, un dramma d’amore da quattro ore e mezza in stile Via Col Vento, eppure Pawlikowski va così in sottrazione che alla guerra toglie l’epica e alla tragedia il dramma. E’ come se il regista avesse avuto davanti a se i libri delle vite dei protagonisti, Wiktor e Zuzanna, e avesse deciso di strappare via tutte le pagine in cui i due amanti erano distanti, vivevano in città separate, con altre persone e in altre realtà. All’autore polacco interessavano solo i pochi momenti che il destino aveva concesso loro, e così di questo affresco politico e sociale ampissimo e tragico non rimane altro che un sapore godibile seppur lievemente agrodolce, in grado di trasformare perfino la tristezza dell’epilogo shakespeariano in qualcosa di non solo comprensibile, ma addirittura augurabile.