La Casa delle Bambole – Ghostland di Pascal Laugier | Recensione
Pubblicato il 4 Dicembre 2018 alle 20:00
Arriva in Italia il nuovo horror del regista francese Pascal Laugier, già autore del fortunato Martyrs.
E’ così il cinema di Pascal Laugier, sempre esteticamente impeccabile e graficamente estremizzato ma contenutisticamente scialbo, per non dire vuoto, smanioso di intavolare discorsi importanti e ricercati sui massimi sistemi che poi però vengono puntualmente risolti in maniera banale. Accadeva già in Martyrs, horror religioso del 2008 tanto fortunato quanto sopravvalutato, che però quanto meno sublimava la propria pochezza a livello di sostanza con un paio di svolte narrative azzeccate che mantenevano alta la soglia dell’attenzione (fino all’arrivo del finale, dove tutto crollava).
Ne La Casa delle Bambole – Ghostland mancano perfino questi guizzi di trama, e dopo il promettente prologo il film si perde tra citazioni a James Wan, flebili (e puerili) rimandi a John Carpenter e Alfred Hitchcock, idee deboli sviluppate goffamente (Alice del Paese delle Meraviglie) e personaggi orridamente scemi che popolano una sceneggiatura scontata, diretta a testa bassa verso una risoluzione prevedibile. Tutto condito con la solita, pedante ridondanza.
Pauline (Mylène Farmer) e le sue due figlie adolescenti, Beth (Emilia Jones) e Vera (Taylor Hickson), ricevono in eredità una vecchia villa piena di cimeli e bambole antiche. Durante la loro prima notte nella nuova casa, due intrusi fanno irruzione e prendono in ostaggio le ragazze. Pauline lotta disperatamente per salvare la vita delle figlie e riesce ad avere la meglio sugli assalitori, ma nulla potrà per proteggerle dal trauma psicologico scatenato da quel terribile evento.
Mentre Beth, anche grazie alla sua passione per la scrittura, riesce a lasciarsi il passato alle spalle diventando un’autrice di fama mondiale, Vera invece non supera lo shock e rimane bloccata nelle sue paranoie. Sedici anni più tardi la pacifica e lussuosa quotidianità di Beth (che da adulta è interpretata da Crystal Reed) viene interrotta da una telefonata di aiuto della sorella (da adulta, Anastasia Phillips). La ragazza così si sente in dovere di tornare nella casa delle bambole dove sua madre e sua sorella vivono ancora. Ma forse l’incubo non è ancora finito …
Howard Phillips Lovecraft che fa da sfondo alla vicenda (è il mito indiscusso di Beth) non può non far venire in mente Il Seme della Follia, e a ben guardare il personaggio di Emilia Jones/Crystal Reed condivide molti elementi con lo scrittore John Trent di Sam Neill; purtroppo i novantuno minuti de La Casa delle Bambole non vale una singola inquadratura dell’opera di Carpenter, con le considerazioni sulla crudeltà del mondo controbilanciate dalla potenza escapista della fantasia che sembrano mutuate (in modo debole e meno folle) dal cinema di Terry Gilliam.
Manca perfino la crudezza del tanto decantato Martyrs, e gli aguzzini (definiti “una strega e un orco”) sono sempre più strambi che inquietanti. E in un horror non aiuta, così come non aiuta sbagliare completamente le proporzioni di scala: che una bimba di circa quattordici anni emerga da uno scontro fisico con un essere così gigante e massiccio è un elemento che metterà a dura prova la vostra sospensione dell’incredulità; insomma Eli Roth, coi suoi soggetti socialmente densi e politicamente schierati, resta un’altra categoria.
Particolarmente azzeccata, invece, l’allegoria di Lovecraft: l’ammirazione con la quale la protagonista si rivolge allo scrittore di Providence è la stessa con la quale il regista guarda agli altri grandi autori dell’horror – passati, suoi contemporanei e appartenenti alle nuove generazioni, che già lo hanno superato -, vale a dire con modi impacciati, un profondo senso di inadeguatezza e un complesso di inferiorità piuttosto evidente.