Bodied di Joseph Kahn | Recensione

Pubblicato il 2 Dicembre 2018 alle 20:00

Il nuovo film prodotto da Eminem è disponibile su You Tube Red.

Chi spera di tornare dalle parti di 8 Mile di Curtis Hanson solo per via del nome Eminem che domina la locandina e il contesto del sottobosco underground della battaglie rap, farebbe meglio a mettersi l’anima in pace o buttarsi su un altro titolo: siamo ancora in quel mondo oscuro e sporco, degradante e pericoloso, che seppur freddo e notturno ricordava molto quello violento e urbano (ma bollente e sudaticcio) di L.A. Confidential (il capolavoro di Hanson), ma con Bodied il regista Joseph Kahn si è spinto verso lidi diametralmente opposti.

Il realismo narrativo è abbandonato in favore di uno stile western-satirico, coi duelli che ricordano più quelli di Scott Pilgrim vs The World di Edgar Wright che la crudezza alla I Guerrieri della Notte che dominava i fotogrammi del mondo del film semi-biografico con protagonista Eminem. Eminem che dopo i camei in Funny People di Jude Apatow (2009) e in The Interview di Seth Rogen ed Evan Goldberg (2014) si è messo a produrre, lo ha già fatto con risultati apprezzabili in Southpaw – L’Ultima Sfida di Antonie Fuqua e lo fa di nuovo col film di Kahn, che è impattante, divertente e folgorante come pochi altri film del 2018.

Adam Merkin (Calum Worthy) è un fan dell’hip-hop che sta scrivendo una tesi sulle potenzialità poetiche della “parola con la n”, e insieme alla sua ragazza, Maya (Rory Uphold), decide di assistere ad una battaglia rap clandestina: qui non solo incontrerà la leggenda della strada Behn Grym (Jackie Long), che accetterà di aiutarlo a comprendere la sottocultura della musica rap e del freestyle, ma scoprirà anche di possedere notevoli qualità in quella stessa arte che ha sempre ammirato ma mai praticato.

Bodied si dimostra particolarmente intelligente per come sfrutta il suo soggetto di partenza e l’arte di riferimento per riflettere sulla forza peculiare della semantica, sul potere intrinseco del linguaggio e delle parole e su come i veri artisti siano capaci di piegare quel linguaggio, e soprattutto i suoi significati e i suoi significanti in base al contesto.  alle persone che le sfruttano per esprimersi. Ogni personaggi viene eletto a rappresentato di una determinata classe sociale, o di una minoranza etnica, e Kahn tramite i loro sogni, le loro motivazioni e soprattutto le loro azioni arriva fin dentro le menti degli spettatori, analizzando ipocrisie, nei e perbenismi vari ed eventuali delle tante comunità che compongono gli strati sociali.

E’ un’idea di cinema precisa e molto più focalizzata di quella del biopic piuttosto freddo su Freddy Mercury, Bohemian Rhapsody, ed è paradossale vedere un film così piccolo curato il doppio rispetto a quello di Bryan Singer.  Ottimamente calibrato a livello di ritmo e confezionato in maniera ineccepibile dal punto di vista tecnico, il film probabilmente si prolunga fin troppo (due ore, oltre ad essere eccessive, sono anche superflue, soprattutto considerando che 8 Mile raccontava in circa 110 minuti una storia intesa per essere più drammatica e quindi più appassionante) ma stiamo parlando di cavilli da analisti che non intaccheranno minimamente sulla spettacolo di puro divertimento che il film offre ai suoi spettatori.

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