Quattro Vecchi di Merda di M. Taddei e S. Angelini | Recensione
Pubblicato il 10 Dicembre 2018 alle 17:00
Ipnotizzarsi dentro un futuro proto-punk, con la firma tipica degli autori pescaresi.
Che fine faranno gli anziani nel futuro? Se nasci con un animo punk, ribelle, anarchico e fuori regola, che vecchio sarai? Potrai essere capace di mantenere inalterato il tuo animo con il passare del tempo o sarai capace di rinnegare la tua anima per un futuro controllato?
In Quattro vecchi di Merda, edito da Coconino Press, troviamo Colt, un ex-musicista punk settantenne che nel 2029 vive in un mondo dove l’accesso a internet è un lusso e dove gli anziani sono costretti a fare lavoretti pur di continuare a essere utili alla società . Dopo l’incendio della sua casa e una vita di stenti, vestito del suo immancabile chiodo con la spilla da sceriffo appuntata sul petto, viene suggerito a Colt, da suo nipote Enki, di continuare la sua vita in una casa di riposo dispersa nei monti, lontana da tutti coloro che vorrebbero far fuori gli inutili anziani.
In cambio di vitto, alloggio e dell’accesso illimitato alla sala musica, dona il suo corpo agli esperimenti della strana direttrice dell’ospizio, esperimenti carichi di esoterismo e droghe. Tra strane visioni e nipoti vestiti da conigliette di Playboy, Colt cerca di rifondare il suo vecchio gruppo musicale, i Quattro vecchi di merda.
Tomo di 300 pagine, gigantesco, che si avvolge su se stesso e risucchia il lettore dentro la storia, grazie alle sue vignette ipnotiche. L’utilizzo della prospettiva centrale avvolge chi legge in una calda e profonda oscurità, mescolando sensazioni di claustrofobia e di agorafobia, viaggiando in cunicoli oscuri per tempi e spazi strettissimi e larghissimi contemporaneamente.
Perdersi tra le vignette di Simone Angelini potrebbe essere abbastanza facile, ma stavolta non è così: lui e Marco Taddei si sono decisamente evoluti dal “lontano” Anubi, impastando una nuova narrazione che è lievitata con gli anni, fino a far uscire un perfetto connubio tra lo sceneggiatore e il disegnatore. Non è Anubi, non è Malloy: è tutto e niente, di più e non di meno.
In un misto che ricorda le gesta di G. G. Allinn e un trip di lsd, la distopia del racconto è alimentata dalla lotta alla sopravvivenza nei bassifondi della città, dagli anziani ancora a lavoro nonostante la loro età e dal contrasto tra l’apparente vita perfetta nell’ospizio e la caccia costante al cibo nelle città.
- PUNK WON’T DIE
L’equazione “più anziano= più saggio” non sempre è giusta.
Aver vissuto più anni non si equivale all’intensità con cui li si è vissuti o con il numero di esperienze fatte. C’è chi crede che, una volta arrivati a essere vecchi, si è inutili alla società, oltre a essere un peso, uno spreco di denaro pubblico e qualcosa di ormai scaduto. Per questo in Quattro vecchi di merda nasce un partito che ghettizza gli anziani, alla stregua di un immigrato dei giorni nostri nelle notizie di cronaca. I giovani del 2029 sono stufi di quelli che ora sono anziani, dato che «avete offeso la mia generazione usandola come un grosso cappone da spennare, creando un mondo assolutamente immobile, che non riesce nemmeno a difendervi nelle piazze. »
Taddei parla direttamente all’orecchio di una generazione inerme, che non riesce a ribellarsi compattamente come negli andati anni Settanta. Accanto alla storia di Colt, c’è una forte provocazione verso chi è assoggettato dal passato (la direttrice dell’ospizio) o verso chi desidera inconsciamente essere comandato (Enki, il nipote di Colt). C’è una forte battaglia tra un passato che non vuole smettere di resistere e un presente che subisce con la promessa di ribellarsi prima o poi.
Post scriptum personale: da piccola la presunzione e la prepotenza di mia nonna che pretendeva di aver ragione, avvalendosi del fatto di essere anziana (e, per qualche motivo assurdo, essere rispettata a prescindere dalla dimostrazione empirica che una sua affermazione fosse sbagliata), l’ho sempre reputata sbagliata. Ora, dopo aver letto Quattro vecchi di merda, Marco Taddei e Simone Angelini mi hanno dimostrato che effettivamente avevo ragione io. Ho avuto la mia rivalsa dopo vent’anni, direi.