Vikings 5B | Recensione
Pubblicato il 10 Febbraio 2019 alle 18:30
La seconda parte della quinta stagione prepara i fan al grande finale previsto per la sesta stagione di Vikings, con la saga di Ragnarr pronta finalmente a giungere al suo termine.
Nel giro di pochi anni, Vikings (creata e scritta da Michael Hirst e prodotta, tra le altre, da Metro-Goldwyn-Mayer per History) è riuscita a far tornare in auge il genere delle saghe storiche, riuscendo a creare il giusto mix tra fatti storici e fiction. La prima parte della quinta stagione si era conclusa con l’ascesa di Ivar ( Alex Høgh) al trono di Kattegat, anche grazie all’inaspettato intervento dello zio Rollo ( Clive Standen), ormai duca di Normandia, a decidere l’epica battaglia tra gli eserciti dei figli di Ragnarr. Lagertha (Katheryn Winnick), suo figlio Bjorn ( Alexander Ludwig), Ubbe ( Jordan Patrick Smith) e Heahmund ( Jonathan Rhys Meyers) sono dunque costretti a nascondersi, in attesa di ritrovare le forze per vendicare l’affronto subito.
UNA NAVE DI PERSONALITA’: VIAGGIO VERSO SE STESSI
In questa seconda parte della quinta stagione, ciò che risalta maggiormente nell’evoluzione della serie non sta tanto nello sviluppo delle trame politiche e delle battaglie, pur sempre presenti (e in questo la serie, ormai da tempo, ci ha abituato e soddisfatto pienamente con una realizzazione tecnica epica ed impeccabile) ma piuttosto il confronto con il proprio destino (concetto così importante, storicamente, per la società norrena, tanto da rimanere influente anche in epoca cristiana) e la propria maturità che tutti i personaggi principali si trovano ad affrontare. Sia che si trovino in Inghilterra (terra così cara a Ragnarr e parte centrale del suo “destino”, legato alla conduzione del suo popolo verso nuovi territori fertili) come Lagertha, suo figlio Bjorn, Ubbe e Heahmund, sia a Kattegat (ed è ovviamente il caso di Ivar il Senz’ossa e suo fratello Hvitserk, ancor più sottomesso con la tirannia del fratello) tutti i personaggi si troveranno a doversi non solo interrogare sulla propria vera identità, ma anche sulla loro missione in questo mondo terreno.
Inevitabile, arrivando implicitamente a riflessioni così profonde con se stessi, il confronto con la religione: se da una parte il fanatismo religioso di Ivar risulta quasi parossistico e folle, l’interrogazione profonda di Ubbe oscilla tra cristianesimo e paganesimo, tra una religione della “nuova” società a quella tradizionale, legata alla famiglia e alla sippe. La stessa Lagertha, mediante anche la storia con Heahmund, rimetterà in gioco tutte le sue certezze dimostrando una saggezza (ancora non pienamente espressa) che porta con sé tutta l’evoluzione compiuta da uno degli “storici” personaggi della serie. Curioso, sempre in rapporto con la riflessione su se stessi e il compimento del proprio destino, il contatto di Hvitserk col Buddismo, a mostrare ancora una volta (come nelle precedenti stagioni) il contatto del mondo vichingo anche con l’Oriente.
Così come la serie, narrativamente, si prepara alla conclusione delle sue trame previste per la sesta e ultima stagione, potremmo dire che gli sceneggiatori, con una profonda, sottile e ben inserita nel contesto narrativo riflessione individuale dei personaggi, rappresentano quella crisi dei valori della società collettivista norrena che il periodo vichingo, storicamente, non ha fatto che aumentare. Ed era forse questo, fin dall’inizio, il destino del giovane Ragnarr, divenuto poi eroe leggendario: far esplorare alla propria gente, oltre che nuovi confini geografici, anche più profondi spazi interni…per la conclusione definitiva del viaggio ci sarà, sicuramente, tempo nella prossima stagione.