Penguin Highway di Hiroyasu Ishida | Recensione

Pubblicato il 20 Novembre 2018 alle 17:00

L’opera prima del regista giapponese sarà nei cinema solo il 20 e 21 novembre per Nexo Digital e Dynit.

L’ultima volta che abbiamo visto dei pinguini nel cinema d’animazione erano tanto carini e coccolosi quanto caparbi e agguerriti. Erano i Pinguini di Madagascar scappati dallo zio di New York prima di avere un film tutto loro.

Con Penguin Highway di Hiroyasu Ishida, al cinema solo il 20 e 21 novembre per gli Anime al Cinema di Nexo Digital e Dynit ci spostiamo in territorio orientale, e i pinguini del titolo sono sempre carini e coccolosi, ma arrivano in città a fiumi misteriosamente da non si sa dove. Il fatto quantomeno anomalo mette in discussione le certezze scientifiche del giovane protagonista, Aoyama, un bambino che va in quarta elementare, estremamente perspicace e intelligente, o meglio che vorrebbe esserlo, figlio di uno scienziato che asseconda la sua fame di conoscenza.

Aoyama annota diligentemente ogni avvenimento delle sue giornate sui suoi quaderni, veri e proprio diari scientifici di bordo, con cause ed effetti, domande e risposte, nel più empirico e puntuale dei metodi scientifici. Non vede l’ora di essere adulto (conta letteralmente i giorni a quando compirà vent’anni) eppure non manca di fare qualche capriccio da bambino, soprattutto con Suzuki il bullo della scuola. Si comporta spesso da bambino, anche se un bambino giudizioso, come gli ricorda sempre la “sorellona”. Non che i due siano imparentati (lui ha una sorella più piccola) ma è il modo in cui in Giappone chiamano le ragazze fra i venti e i trent’anni (“onesan”). La ammira e al tempo stesso ne è infatuato, come si può esserlo a dieci anni, nonostante la sua predilezione per le sue tette – che nomina e guarda spesso e vorrebbe tanto capirne la composizione scientifica e la causa empirica del perché lo facciano stare così bene.

La trama vede un grande contrasto fra gli elementi sci-fi senza troppe spiegazioni e poco lineari e logici in stile Alice nel Paese delle Meraviglie, mischiati all’esecuzione scientifica da parte dei piccoli protagonisti (aiuteranno Aoyama la spalla e migliore amico Uchida e una ragazzina altrettanto intelligente e caparbia della sua classe, Hamamoto) delle ricerche per scoprire l’origine del Fenomeno Pinguini (con tanto di nome del progetto in stile C’era una volta. Questo perché il plot twist sta nel fatto che la “Sorellona” crea inconsapevolmente un pinguino da una lattina di Cola: Aoyama decide allora che deve vederci più a fondo in questa faccenda e capire l’origine dei pinguini che sono apparsi e scomparsi allo stesso modo all’improvviso in città. Allo stesso tempo si troverà invischiato in una ricerca con Hamamoto su un altro fatto misterioso “apparso” in città.

Da un lato Penguin Highway loda il metodo scientifico, dall’altro chiede allo spettatore di abbandonarsi ad una “fede” che vada oltre la scienza, in fenomeni per cui non sempre esiste una spiegazione logica. E’ così che seguiamo quello di fatto è un percorso di formazione del protagonista, che istintivamente piace poichè frutto di un giusto equilibrio: non risulta troppo saccente nel suo voiceover di commento, ma nemmeno eccessivamente bambinesco. Quelli eccessivi sono probabilmente i plot twist nella trama.

Ishida confeziona un’opera prima che oscilla anch’essa fra l’animazione più elementare e quella più composita, sopratutto nei dettagli delle scritte sui quaderni di Aoyama e sulle sue misurazioni scientifiche appuntate, che danno un tono realistico alla vicenda surreale raccontata.

Dopo Mirai, che era estremamente maturo, la stagione degli Anime al Cinema continua con un film pieno di contraddizioni, sospeso fra l’essere adulti e l’essere bambini, come il protagonista.

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