Outcast Vol. 6 – Invasione | Recensione
Pubblicato il 15 Novembre 2018 alle 11:00
Un volume interlocutorio, ma che prepara alla grande apocalisse che incombe sul reietto Kyle Barnes e sulla città di Rome.
Kyle Barnes assieme alla sua famiglia, ed ad un folto gruppo di rifugiati è rinchiuso all’interno di una fattoria fuori città. Nel frattempo a Rome è arrivato un personaggio pronto a prendere il reietto.
Robert Kirkman cerca di stringere il cerchio e crea, in questo nuovo volume di Outcast, una sorta di carpenteriano Distretto 13 in salsa kirkmaniana. Ciò che sta diventando questa serie è una continua esaltazione dei rapporti umani tra i protagonisti, con l’alone di mistero che aleggiava in precedenza, che ormai sta lasciando spazio ad un misto di survival, horror, ed action che del resto è il cocktail con il quale si è reso celebre l’autore del Kentucky grazie a The Walking Dead.
Invasione è un volume di passaggio verso una storia che sembra si stia avvicinando verso la sua fase conclusiva ( come del resto ha dichiarato anche lo stesso Kirkman) e verso un’apocalisse con la quale tutta la popolazione di Rome dovrà fare i conti. Outcast non ripeterà quindi lo stesso lungo percorso fatto da The Walking Dead, anche se, alla lunga, sta facendo uscire fuori le caratteristiche più tipiche della narrativa di Kirkman.
Il rapporto tra Kyle, la moglie Allison e la figlia Amber si è ancora di più cementato, ed il protagonista della storia ha ormai preso consapevolezza del proprio potere, tanto da essere disposto a compiere un grandissimo sacrificio pur di salvare chi ha più a cuore.
Sicuramente il potenziale horror/mistery dei primi volumi ora ha lasciato spazio a delle sfumature diverse, e questo per un fumetto come Outcast, fortemente basato sui misteri che ruotavano attorno alla figura del reietto, può essere un punto debole. Ma del resto, lo stesso Kirkman ha dichiarato che la storia si sta avvicinando al suo finale, e quindi è giusto che si arrivi a serrare i ranghi e a far arrivare un po’ tutti i nodi al pettine.
Ma l’introduzione di un duro, che in questo caso funge da villain, come Rowland Tusk, riesce a dare qualche spunto in più alla storia, creando una contrapposizione tra lo stesso Kyle e la polizia di Rome. Sembra infatti che non tutto sia chiarito, e che qualcuno stia nascondendo ancora qualcosa. Lo stesso Kyle è ancora inconsapevole di chi potrebbe essere interessato a lui ed al suo potere.
Kirkman prosegue nella narrazione della sua seconda serie horror (dopo The Walking Dead) con una sceneggiatura dal ritmo serrato, e con dialoghi incisivi.
Ad accompagnarlo sono, come al solito, i disegni di Paul Azaceta che, così come ci ha raccontato al Napoli Comicon, si esalta durante la realizzazione delle scene horror, e che, con il suo tratto sporco dalla china ben evidenziata, riesce a dare un’idea di ruvidezza che con Outcast calza a pennello.
Ottimi anche i colori di Elizabeth Breitweiser, che con una cromatura di base scura, e con una colorazione fatta di contrasti, riesce ad esaltare il mood delle varie scene, e a dare senso ad alcuni dettagli che altrimenti passerebbero inosservati.
Outcast non ha ripetuto lo stesso clamoroso successo di The Walking Dead, ma è una serie che, fosse stata realizzata da qualsiasi altro sceneggiatore di fumetti, sarebbe stata descritta come una grandissima prova narrativa. Il fatto che a realizzarla sia l’uomo che ha cambiato il mercato dei fumetti degli ultimi vent’anni ne sminuisce un poco i meriti, ma non devo farla comunque sottovalutare.
La serie di Outcast è comunque un gran bel leggere.