Hell Fest di Gregory Plotkin | Recensione
Pubblicato il 31 Ottobre 2018 alle 15:00
Arriva in Italia il nuovo horror-slasher Hell Fest, diretto dall’esordiente Gregory Plotkin.
E’ quasi inconcepibile che Hell Fest sia stato scritto da ben dodici mani, sei appartenenti ai soggettisti William Penick, Christopher Sey e Stephen Susco e altre sei attaccate ai corpi degli sceneggiatori Seth M. Sherwood, Blair Butler e Akela Cooper, e che nessuna delle sessanta dita coinvolte sia stata capace di riversare nel film un briciolo di originalità. Colpa probabilmente dell’esordiente Gregory Plotkin, che mette insieme tutti gli stereotipi e i luoghi comuni possibili del genere horror (in particolare dello slasher) privandoli di ogni tipo di enfasi: non è il gioco di dissertazione accademica che era Quella Casa Nel Bosco di Drew Goddard anche se vorrebbe fortemente esserlo, ma il genio del lovecraftiano film del 2012 con Chris Hemsworth stava nel fatto che non ci provava neppure a mettere paura allo spettatore, voleva solo sorprenderlo e affascinarlo e strizzargli l’occhio di continuo, riempiendolo di omaggi a tutto il cinema horror mondiale partendo dagli anni ’30 e arrivando fino ad oggi, come un antesignano sanguinolento di Ready Player One.
Questo Hell Fest vuole sia spaventare che strizzare l’occhio (c’è Tony Todd, che i veterani del genere ricorderanno di certo), e di conseguenza sembra continuamente menomato da tic facciali che un po’ fanno tenerezza e un po’ rischiano di stufare.
E’ la notte di Halloween, neanche a dirlo, e per l’occasione nella città è arrivato l’Hell Fest, un festival itinerante a tema horror che prevede labirinti, giostre e soprattutto attori mascherati pagati appositamente per spaventare i visitatori paganti. Natalie (Amy Forsyth), Brooke (Reign Edwards) e Taylor (Bex Taylor-Klaus) decidono di prendere parte alla serata insieme ai loro amici Quin, Asher e Gavin: l’obiettivo è quello di staccare la spina e lasciarsi travolgere dal brivido e dall’adrenalina del particolare luna park, riempito da altre migliaia di visitatori.
Il problema è che fra queste migliaia di persone ce n’è una la cui mente particolarmente deviata considera l’Hell Fest come una ghiotta opportunità di poter uccidere indisturbato davanti a innumerevoli testimoni, protetto dal fatto che tutti quanti scambieranno la cruda realtà per una macabra attrazione.
Plotkin, montatore di casa Blumhouse che ha lavorato a Scappa – Get Out e Auguri per la tua Morte, non dimostra l’abilità necessaria per districarsi all’interno di una sceneggiatura dal concept affascinante e intrigante ma dallo sviluppo debole. Il difetto più grande è molto semplice da spiegare, talmente semplice che a dirsi così viene da domandarsi perché chi stava realizzando il film non se ne sia accorto prima: il gioco di satira sull’horror di wescraveniana memoria abbassa radicalmente i toni, e in questo modo il pubblico conosce benissimo la differenza che c’è fra l’omicidio finto – che fa parte cioè dello spettacolo allestito dal luna park – e quella di uno vero, e quindi è in grado di fiutare con largo anticipo le scene in cui i protagonisti sono in reale pericolo e quelle in cui non lo sono.
Questo smorza la tensione, troppo fragile, e il gore quando c’è non restituisce mai come dovrebbe quel perverso senso di divertimento, con un Rated-R che non si differenzia poi molto da un normale PG-13 e quindi quasi totalmente ingiustificato. Hell Fest insomma non sembra avere le idee chiare, è indeciso sul da farsi, non sa se spaventare lo spettatore oppure divertirlo. Fa un po’ tutte e due le cose ma nessuna delle due come dovrebbe-vorrebbe, e la sensazione di aver sciupato un buon materiale di partenza è molto forte. La speranza è quella di riuscire a fare meglio col sequel, già messo in preventivo.