Searching di Aneesh Chaganty | Recensione
Pubblicato il 24 Ottobre 2018 alle 20:00
Arriva in Italia Searching, thriller di Aneesh Chaganty con protagonista John Cho.
Non un semplice filone ma un vero e proprio nuovo genere cinematografico, quello degli screen life movies è un fenomeno che sta prendendo piede negli ultimi anni grazie soprattutto alla figura del regista kazano Timur Bekmambetov, che magari non ci sa esattamente fare quando si tratta di dirigere un film (a lui si devono opere ignobili come Wanted, La Leggenda del Cacciatore di Vampiri e il più brutto di tutti, il remake di Ben-Hur) ma se c’è da farsi venire nuove idee e andare a produrle, bisogna rendergli atto che ha il fiuto per gli affari.
A lui si deve quello schizofrenico b-movie girato interamente in prima persona che è Hardcore! di Ilya Naishuller ma soprattutto quello che insieme a Open Windows di Nacho Vigalongo è un po’ l’antesignano di questo Searching, vale a dire l’horror Unfriended. Se avete visto questi film sapete già di cosa stiamo parlando: l’idea è quella di una narrazione continua in cui l’inquadratura corrisponde sempre al monitor di un computer, con lo spettatore che assiste in diretta all’apertura di finestre web e chiamate face-time fra i vari personaggi. L’idea è semplice ma efficace, soprattutto quando svolta bene come fanno Aneesh Chaganty e John Cho in questo piccolo, piccolissimo thriller che sfrutta questo linguaggio per raccontare una storia da giallo che appassiona davvero.
Una ragazza scompare nel nulla, e suo padre David (Cho) e la detective alla quale viene affidato il caso, Rosemary (Debra Messing) hanno solo tre chiamate senza risposta come indizi. La ricerca di Margot (Michelle La) procederà quindi esclusivamente via social, in tempo reale, attraverso siti internet, cronologie, cartelle e sottocartelle seppellite nell’hard disk del computer, scavando nella banca dati della vita della ragazza.
Naturalmente non vi diremo come andrà a finire ma vi assicuriamo che la vicenda riuscirà ad appassionarvi. L’anima b-movie che trasuda questa operazione commerciale priva di regia (o con una regia che è presunta tale, mettiamola così) mette in risalto le indubbie qualità narrative di Aneesh Chaganty, che rinuncia in toto al valore cinematografico ed estetico della sua opera per puntare tutte le sue fiches sul bisogno primordiale del racconto, sul piacere del racconto, sulla potenza del mistero e sulla voglia che lo spettatore avrà di svelarlo.
Non solo: nel corso dei cento minuti del film la sceneggiatura avvincente di Chaganty ci coinvolgerà al punto da farci affezionare ai personaggi, alle loro vicende passate e ai loro destini, e nel farlo riuscirà anche a farci riflettere sull’accanimento e la sete che i media e internet hanno nei confronti di determinati fatti di cronaca nera.
In pratica è una sfida, questo Searching, che Aneesh Chaganty ha voluto raccogliere come una sorta di Harry Houdini del cinema: volontariamente limitato dal punto di vista artistico, il film riesce a liberarsi delle sue catene grazie ad uno script che lega insieme dialoghi parlati e scritti al computer, colpi di scena ben orchestrati e un ritmo vivace, ansiogeno, che ci cala nella vicenda e non ci permette di tirare il fiato.