La Ballata di Buster Scruggs di Joel ed Ethan Coen | Recensione

Pubblicato il 17 Novembre 2018 alle 15:00

E’ disponibile su Netflix il nuovo film scritto e diretto dai fratelli Coen, La Ballata di Buster Scruggs.

I primi a sapere che i fratelli Coen non hanno probabilmente più nulla da dire sono Joel ed Ethan Coen stessi: i due hanno già firmato i loro capolavori, ce li hanno già mostrati e noi li abbiamo già amati, e da geni totali quali sono sanno perfettamente che è inutile prendersi in giro o girarci intorno, che tanto vale essere pratici e andare dritti al punto; perché che non abbiano più nulla di nuovo da dire non vuol dire che non abbiano più nulla di bello da dare, o se per questo che all’improvviso sia diventato noioso starli ad ascoltare.

E quindi come Orson Welles con Moby Dick ebbe l’idea di girare un film riprendendosi mentre leggeva al suo pubblico l’omonimo romanzo di Herman Melville, gli autori di Fargo, Non E’ Un Paese Per Vecchi, Arizona Junior e tanti altri ancora, hanno deciso di tirare il fiato, mettersi a sedere sulla loro poltrona preferita, prendere un libro dal loro scaffale delle idee e leggerci sei piccole storie firmate da loro a proposito del Selvaggio West e della natura umana.

E’ questa l’idea alla base de La Ballata di Buster Scruggs, il piacere del racconto, la gioia dell’atto del raccontare, la passione per il cinema e soprattutto il disprezzo incommensurabile per ogni aspetto dell’umanità, brutta, avida, idiota, quasi sempre sfortunata e sempre e comunque degna di derisione.

Nata come serie tv antologica per Netflix e poi riadattata secondo le nobili tradizioni del film ad episodi, l’opera è un esercizio di stile riuscito in ogni suo singolo aspetto, con il genere western – da sempre un vero e proprio tarlo per i Coen – che viene programmaticamente analizzato nei suoi stilemi e tropi narrativi, solleticando i desideri e i bisogni di ogni cinefilo promettendo una cosa per poi concederne un’altra totalmente opposta: dalla farsa al dramma, dall’avventura epica al musical, dal romance alla commedia nera, dal grottesco al trionfo dell’assurdo … i sei episodi che compongono il film, presi complessivamente, diventano un lungo divertissement con sfumature teatrali che ci accompagna per due ore e dieci circa all’interno dell’eredità del western; uno ad uno però formano i pezzi di un puzzle asserviti alla composizione dettagliata e strutturale della filosofia nichilista e contorta degli autori, che non contempla né il bene né il male e nella quale il destino è sempre un vecchio balordo figlio di buona donna.

I sei cortometraggi (chiamiamoli così) sono spunti narrativi basati su archetipi e situazioni note del mondo di frontiera (un pistolero infallibile, il viaggio di una carovana, un rapinatore di banche, gli indiani, un cercatore d’oro …) ma prontamente vanno in direzioni sempre diverse, nuove, inaspettate. E a ciascuno di essi i Coen non concedono una chiusa, e quindi una morale finale, con l’ultimo episodio (della durata di circa mezz’ora) che sembra a tutti gli effetti una riflessione su un intero genere cinematografico e il suo destino. Che poi è il destino di tutti, come questi straordinari autori, fra i più importanti del XX secolo, ci hanno spesso e volentieri ricordato.

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