Mirai e l’eredità familiare di Mamoru Hosoda | Recensione

Pubblicato il 11 Ottobre 2018 alle 20:00

Il film aprirà la stagione degli anime al cinema il 15-16-17 ottobre.

Mamoru Hosoda ha una passione per il tempo oramai consolidata come si evince da alcuni dei suoi precedenti lavori (La ragazza che saltava nel tempo, The Boy and the Beast, Wolf Children, Summer Wars). Da quando è diventato genitore, però, questa sua passione si è avvicinata all’interesse per la crescita, per la formazione primaria. Dall’unione di questi due elementi ecco nascere Mirai (Mirai of the Future) che, dopo la presentazione al Festival di Cannes 2018 nella sezione parallela Quinzaine des Réalisateurs, aprirà la stagione degli Anime al Cinema di Dynit/Nexo Digital il 14-15-16 ottobre.

Mirai è la storia di Kun, un bambino che si ritrova sopraffatto dalle emozioni quando la madre torna dall’ospedale portando a casa la sorellina appena nata, che si chiama Mirai (“futuro” in giapponese). Tutte le attenzioni dei nuovamente neo-genitori sono per la piccola e lui si sente trascurato, messo da parte.

Niente di più falso, ma il suo punto di vista costante ci fa provare insieme a lui la sua profonda invidia e gelosia, che lui tramuta in disagio e sofferenza con un pizzico di capriccio. Non gli resta – o almeno così ci dice la sua immaginazione – che incontrare la Mirai del futuro – e in realtà molti altri membri della famiglia dal passato – per comprendere meglio il suo ruolo di fratello maggiore più che essere “figlio di”. In fondo Mirai è una storia di scoperta del proprio ruolo all’interno del nucleo familiare e della vita stessa, con tutto ciò che esso comporta.

Hosoda si interroga e interroga il suo spettatore non solo sul ruolo di figlio, ma soprattutto su quello di genitore. Come si fa a far sentire la propria prole sempre amata e al sicuro? Cosa significa essere bravi genitori oggi? Ci sono tutti gli elementi della contemporaneità, senza dimenticare le tradizioni del Giappone come le bambole porta-fortuna: il tablet per intrattenere i piccoli, il fare il papà casalingo se la mamma torna a lavorare, il voler essere una donna in carriera ma anche una buona madre, il voler recuperare un rapporto col primogenito ora che si sta di più a casa e quindi lo si vede molto più spesso, e si è meno presi dal lavoro. I genitori di Kun e Mirai si interrogano fra di loro più volte durante il film, e anche con i propri parenti (i nonni di Kun e Mirai) se stiano facendo bene il mestiere più difficile al mondo, che arriva senza istruzioni d’uso e con tanto bisogno d’improvvisazione. Così come il ruolo di fratello maggiore può responsabilizzare ben prima del tempo, per motivi pratici.

 

La regia spesso dall’alto al particolare di Mirai ci fa ammirare la città ed entrare nella casa (e nella vita) dei protagonisti, man mano che la macchina da presa si avvicina alla via, all’abitazione e alle stanze dove vive la famiglia di Kun e Mirai, quasi un live action, con tanto di motivetto musicale introduttivo e conclusivo per entrare nell’atmosfera del film.

I temi di riflessione così adulti presenti in Mirai fanno da contrappunto alla storia molto elementare, se vogliamo. Così come la passione di Kun per i trenini, potenti e importanti mezzi di locomozione (almeno in Giappone) e allo stesso tempo giocattoli dal grande intrattenimento. Hosoda con questo film si guarda allo specchio e ciò che restituisce allo spettatore è un’analisi meticolosa ma anche emozionante dei genitori e dei figli di oggi. Sembra che, attraverso i viaggi di Kun – immaginari o meno che siano, Hosoda voglia dirci che siamo il risultato della nostra eredità familiare oltre che di esperienze personali. Bisogna guardare nella storia della propria famiglia per poter comprenderne il futuro. Dopo Coco, un altro film d’animazione che basa tutta la sua storia sul potere della famiglia, anche se in modo completamente diverso e anche in modo totalmente imprevedibile da ciò che ci si poteva aspettare sapendo di una “visita dal futuro” nella storia.

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