Malevolent – Le Voci del Male di Olaf de Fleur Johannesson | Recensione
Pubblicato il 7 Ottobre 2018 alle 15:00
Il film con Florence Pugh, Celia Imrie e Ben Lloyd-Hughes è disponibile su Netflix.
Ne sanno qualcosa di spiriti, fantasmi e case infestate in Scozia, e allora è lì che l’islandese Olaf de Fleur Johannesson decide di andare a girare questo suo particolare dramma horror che riesce a cavare un degnissimo intrattenimento da un budget quasi effimero.
La cosa più apprezzabile del film, a parte la presenza di Florence Pugh (la giovane attrice inglese non ne ha sbagliato uno in quattro anni di carriera), è la capacità di cambiare pelle gradualmente, partendo in un modo e finendo in un altro, senza mai farci storcere il naso durante il tragitto: l’evoluzione, seppur velocissima (la durata si attesta intorno agli ottanta minuti), non è solo tematica, perché più il film cambia più cambiano i personaggi, e più i personaggi cambiano più scoprono qualcosa relativo al loro passato, al loro essere o al mistero che li circonda. E’ un cinema raffinato, questo, non sempre originale ma comunque strategico e ben studiato.
Malevolent – Le voci del male è la storia di due fratelli, Jackson (Ben Lloyd-Hughes) e Angela (Florence Pugh), che per fare soldi facili truffano le persone emotivamente fragili fingendosi cacciatori di fantasmi. L’idea, soprattutto di lui, è far credere ai propri clienti che la Angela abbia il dono di vedere, sentire e soprattutto comunicare con gli spiriti, e insieme alla ragazza di Jackson, Beth (Georgina Bevan) e Elliot (Scott Chambers) ogni volta inscenano un piccolo spettacolo per imbrogliarli e riscuotere una paga facile e pulita.
Il problema è che quello che nessuno sa è che i poteri di Angela sono veri: li ha ereditati da sua madre, che si è suicidata cavandosi gli occhi guadagnandosi la reputazione di sociopatica, cosa che Angela si è risparmiata evitando di rivelare il suo segreto alla propria famiglia.
Un giorno a contattarli è la signora Green (Celia Imrie), proprietaria di un ex orfanotrofio infestato: è in quell’edificio che il figlio della Green uccise tre bambine dopo avergli cucito le bocche e torturate per giorni. La Green vuole poter parlare di nuovo con suo figlio, e quando Jackson sarà costretto ad accettare l’incarico per pagare dei debiti, il quartetto di truffatori si ritroveranno di fronte ad una realtà che finora avevano solo finto.
Siamo negli anni ’80 e non i ’70 di The Conjuring, i protagonisti sono ragazzi che non hanno lo stesso timore reverenziale dei coniugi Warren quando si tratta del sovrannaturale: Angela conosce quel mondo ma non vuole saperne nulla perché ha a che fare con sua madre e ogni cosa che abbia a che fare con sua madre per lei è fonte di un indicibile dolore, Jackson quel mondo lo deride con saccente nichilismo, ha affari loschi per le mani (non ci verrà mai spiegato cosa vogliano gli strozzini da lui) e vuole andarsene dalla fredda e uggiosa Scozia.
E’ interessante notare come de Fleur si preoccupi di mostrare la paura, di farla sentire allo spettatore: non punta mai allo spavento, cerca di evocare qualcosa di ancestrale, un sentimento freddo che insinui lentamente. Forse è per questo che i suoi attori non scappano mai, rimangono impietriti di fronte a ciò che vedono, sfoggiando una reazione che raramente si vede negli horror moderni. E’ una reazione genuina che il pubblico può comprendere e con la quale può riconoscersi.
Un’opera che non è nulla di trascendentale ma che sicuramente è degna del vostro tempo, soprattutto con la festa di Halloween dietro l’angolo.