Operation Finale di Chris Weitz | Recensione

Pubblicato il 6 Ottobre 2018 alle 15:00

Il nuovo film di Chris Weitz con Oscar Isaac e Ben Kingsley è disponibile su Netflix.

E’ chiaramente, anzi quasi impunemente Argo il modello di thriller pensato da Chris Weitz per il suo Operation Finale, che cerca la stessa tensione priva di azione che Ben Affleck aveva così splendidamente trovato alla sua terza prova da regista. Weitz, la cui carriera ormai ventennale si è sempre tenuta ben lontano da drammi impegnati come si presuppone debba essere questo Operation Finale (e per carità, lo è), dimostra purtroppo di non saper accumulare tutta quella suspance, e quando nei minuti finali tenta di rilasciarla (copiando pedissequamente le sequenze del vincitore dell’Oscar al miglior film 2013) fallisce miseramente.

Comunque non è tutto da buttare quello che c’è nel film che arriva su Netflix (giusto così: nelle sale italiane non avrebbe ricavato mezzo euro), anzi: non essendo in grado di realizzare un thriller affilato e senza tregua, il regista di About a Boy e La Bussola d’Oro è senza ombra di dubbio bravissimo quando bisogna tratteggiare le personalità dei suoi personaggi, e di questa sua caratteristica ne giovano sicuramente le interpretazioni di Oscar Isaac e sir Be Kingsley, che soprattutto nel secondo atto fanno a gara di bravura mentre si studiano a vicenda, imparando a conoscere l’uno le debolezze dell’altro.

Sono gli anni sessanta e la neonata agenzia segreta del Mossad della neonata nazione indipendente di Israele è sulle tracce dei nazisti che alla fine della Seconda Guerra Mondiale hanno evitato la giustizia togliendosi le uniformi da SS e rifacendosi una vita in un altro Paese (la peggior paura del tenente Aldo Rain di Brad Pitt in Bastardi Senza Gloria: i due film sono legati da Mélanie Laurent, qui co-protagonista e che nel film di Quentin Tarantino era l’indimenticabile Shosanna).

Obiettivo numero uno è Adolf Eichmann (Kingsley), considerato uno dei maggiori responsabili operativi dello sterminio degli ebrei nella Germania Nazista: uno degli ufficiali di più alto grado nell’esercito di Hitler, e fra le altre cose si occupava dell’organizzazione del traffico ferroviario e gestiva tutti i treni che trasportavano i prigionieri nei campi di concentramento.  A dargli la caccia la cellula del Mossad guidata da Peter Malkin (Isaac), che rintraccia herr Eichmann in Argentina.

Da qui parte sostanzialmente un Argo al contrario (e non “Argo vaffanculo!”), dove non è più un solo uomo che deve riuscire a mettere su un aereo più persone ma più persone che devono mettere su un aereo un solo uomo: dieci giorni di tempo per organizzare la fuga, nascosti all’interno di una piccola casa mentre il resto della città – le cui cariche istituzionali, perfino quelle ecclesiastiche, appartengono al partito nazista – sta cercando Eichmann.

E’ di certo questo l’elemento più importante del film, lo scontro dialettico che Weitz imposta fra l’agente segreto Malkin e il nazista Eichmann, che diventa ben presto uno studio caratteriale su personaggi profondi, che hanno molto da dire e rivelare e che soprattutto vengono impersonati da attori straordinari che sono in grado di rimarcarne tutte le sfaccettature.

Tutto il resto è lasciato all’economia, dal setting allo sviluppo degli altri personaggi, con un finale che come detto vuole essere apprensivo e ansiogeno ma che non ci riesce minimamente. Non un film indimenticabile, ma vale una visione.

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