The Wife – Vivere nell’Ombra di Björn Runge | Recensione

Pubblicato il 3 Ottobre 2018 alle 15:00

Arriva in Italia il nuovo film dello svedese Björn Runge, The Wife – Vivere nell’Ombra.

E’ evidentemente il momento di Jonathan Pryce, che dopo essere arrivato in Italia la settimana scorsa come co-protagonista del tanto atteso L’Uomo Che Uccise Don Chisciotte di Terry Gilliam ci è rimasto per il nuovo film dello svedese Björn RungeThe Wife – Vivere nell’Ombra. A differenza del film del cineasta ex Monthy Python con Adam Driver questo dramma femminista giustamente non si prende alcun rischio e si limita a mettere in scena l’omonimo romanzo del 2003 scritto dall’americana Meg Wolitzer: è un film che chiaramente vuole cavalcare l’onda dell’odierna rivendicazione femminile, che ci vuole ricordare per l’ennesima volta che dietro ogni grande uomo c’è sempre una donna ancora più grande, ma se è vero che lo fa piuttosto smaccatamente è altrettanto vero che, nel farlo, dimostra una classe squisita.

The Wife – Vivere nell’Ombra racconta la storia di Joan Castleman (Glenn Close), una donna dalla bellezza impeccabile con un talento ancor più straordinario: è lei infatti l’autrice di alcune delle opere letterarie più amate del mondo, di cui però è il suo affascinante e carismatico marito Joe (Pryce) a beccarsi il merito. E da oltre quarant’anni!

Per amore di lui Joan ha assistito alla sfavillante carriera di Joe, sopportando di anno in anno tutte le menzogne, gli inganni, perfino i tradimenti. Ma quando arriva la notizia che suo marito sarà insignito del più grande riconoscimento per uno scrittore, il Premio Nobel per la letteratura, la donna decide finalmente di dire basta e riprendersi tutto quello che le spetta.

Abbiamo già visto una storia simile a questa qualche settimana fa, nel brutto Mary Shelley – Una Storia Immortale di Haifa Al Mansou, ma Runge è ben più esperto della regista saudita, e confeziona un film-metafora che funziona in ogni aspetto.

In primo luogo Glenn Close è assoluta mattatrice e assolutamente devastante, incarnando alla perfezione questa donna la cui vita di repressione e risentimento viene fuori ad ogni minimo sorriso ironico o sguardo avvizzito. Lei e Pryce hanno una chimica potente, si divertono anche nelle discussioni e nei duelli verbali sembrano vibrare attraverso lo schermo, e a livello narrativo la sceneggiatura di Jane Anderson fa davvero un grandissimo lavoro nello sviluppare l’epifania della protagonista, senza affrettarla ma portandola avanti per gradi: e lo spettatore, grazie alla Close, comprende in pieno le difficoltà del personaggio, le sente, e quando si arriva alla fine di questa progressiva evoluzione c’è un sottile piacere per entrambi.

Il regista svedese svolge il compitino, senza strafare ma restando sempre ineccepibilmente ordinato anche nei vari balzi temporali (cosa difficile e nient’affatto scontata, basti pensare al disordinato Gotti – Il Primo Padrino) e attraverso queste piccole digressioni il film ci dà un quadro generale della storia della coppia mentre procede spedito verso il suo obiettivo, vale a dire quello di permettere al personaggio di Joan di appropriarsi dei meriti che per tutta la sua vita ha dovuto nascondere, rimanendo nell’ombra.  Di certo non stiamo parlando di un capolavoro trascendentale, ma è altrettanto certo che non tutti i film devono o possono esserlo.

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