La promessa di Tex: perché da 70 anni non ci stanchiamo di leggerlo

Pubblicato il 29 Settembre 2018 alle 12:00

Quali sono gli elementi che hanno reso immortali le storie di Tex? Proviamo a descriverli in questo articolo di omaggio per i settant’anni dell’eroe di casa Bonelli.

C’era una volta un cowboy nato fuorilegge, e diventato successivamente emblema di giustizia. Quel cowboy divenne eroe di due mondi, fonte di speranza e promessa di avventura a cavallo tra gli Stati Uniti e l’Italia, tra il Grand Canyon e Via Buonarroti. C’era una volta e c’è ancora. Il suo nome è Tex. E la sua leggenda durerà per sempre. Ecco perché.

04. IL SUPEREROE PIÙ FORTE

Forse quel 30 settembre 1948 (giorno in cui venne pubblicata la prima striscia di Tex) Gianluigi Bonelli non si aspettava di aver appena inaugurato l’epopea di un personaggio che sarebbe stato così importante per la storia del fumetto italiano, e non solo.

“Se devi scommettere sul supereroe più forte di tutti punta su Tex” disse alcuni anni fa lo sceneggiatore Roberto Recchioni, sottolineando che “a Batman hanno spezzato la schiena, Superman è morto, mentre Tex al massimo si è rotto un braccio”. E forse è questo il suo segreto: Tex è forte, ma non trasmette sovrumanità; Tex è infallibile, ma non presuntuoso; e soprattutto, Tex è genuino, a tal punto che ogni lettore si sente rassicurato dal suo modo di essere: potrebbe rappresentare il fratello maggiore per alcuni, o lo zio al quale si è più affezionati per altri. Un personaggio protettivo, ma con il quale non hai paura di confidarti, e con cui condividi le passioni.

Tex  è una persona di famiglia, su Tex ci puoi contare, perché lui riesce ad esserci sempre, ed è per questo che gli vogliamo così bene. Tex è fortissimo ed intelligentissimo, ma nasconde i superpoteri dietro il suo essere genuino ed alla portata di chiunque. Tex non se la tira insomma. E per questo motivo è il supereroe più forte di tutti, ma non ce ne siamo mai accorti.

03. “TEX SONO IO”. GIANLUIGI BONELLI ED IL SUO ALTER-EGO FUMETTISTICO

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Senza rendercene conto, più che a Tex vogliamo bene a Gianluigi Bonelli. Perché il creatore del nostro ranger preferito è stato un americano a Milano, un cowboy delle Alpi e degli Appennini.

Se a qualcuno di voi è capitata sottomano una delle foto nelle quali Gianluigi Bonelli è immortalato con il cappello da cowboy sulla testa si renderà conto di come il creatore di Tex abbia in realtà scritto storie di un suo alter-ego proveniente da un mondo parallelo, capace di raccontargli in sogno tutte le peripezie di una vita al di là del reale. Sì, perché le storie di Tex di Gianluigi Bonelli sembravano nascere da una sorta d’inconscio e da una vita che il fondatore della SBE non ha mai vissuto (non almeno in questo mondo), ma nel cui stile si è saputo immedesimare a pieno.

Perché Gianluigi Bonelli era un lettore vorace di romanzi western (tanto che lo stesso Tex fu protagonista di un racconto western, dal titolo Il Massacro di Goldena, scritto dallo stesso Bonelli e pubblicato nel 1951) e d’avventura (tanto che si ispirò a Emilio Salgari, Joseph Conrad e Jack London), grande fruitore di film americani (conosceva a memoria le battute delle pellicole western di John Ford), e chiaramente un grande amante dei fumetti. Bonelli seppe incanalare tutto questo bagaglio di conoscenze in un linguaggio ed una narrativa inedita per i fumetti dell’epoca. Le frasi ingenue e fanciullesche dei protagonisti delle strisce degli anni Quaranta lasciarono spazio in Tex ad un linguaggio maturo, con battute serrate ed in grado di dettare la narrazione, piuttosto che accompagnare l’immagine commentando ciò che la vignetta già mostrava al lettore. Il Tex di Gianluigi Bonelli è stato per il fumetto italiano l’equivalente del Ritorno del Cavaliere Oscuro di Frank Miller per i comics supereroistici.

La narrazione serrata, le battute secche, la violenza e le morti, il fare i conti con un’America dura che non risparmiava lacrime e sangue segnarono il passaggio verso una fase che il fumetto italiano apprese e concretizzò a pieno solo alcuni decenni dopo (grazie a fumetti pulp come Kriminal e Diabolik), ma che Gianluigi Bonelli aveva già fatto suo, rendendo fresco, e tutt’ora attuale, un fumetto western che usciva fuori dalla pagina facendo respirare l’aria e l’anima dei character che ne facevano parte.

E poi, oltre ai dialoghi ed alla qualità delle storie, Tex era speciale già negli anni Quaranta per il suo essere citazionista e post-moderno (lezione che successivamente il figlio Sergio ed il redattore della SBE Tiziano Sclavi avrebbero trasportato su fumetti come Zagor e Dylan Dog), riportando intere sequenze e battute dal repertorio di pellicole western americane degli anni Trenta e Quaranta. Ma, qualità ancora più particolare, le storie a fumetti di Tex esprimevano un vero e proprio senso cinematografico della narrazione. Le immagini entravano direttamente nel mezzo dell’azione, Aurelio Galeppini (lo storico primo disegnatore della serie) sapeva rendere al meglio il senso del ritmo e della narrativa serrata di Gianluigi Bonelli, tanto da lasciare i giovani lettori dell’epoca col fiato sospeso, pronti da subito a preferire le storie di Tex a quelle di  Occhio Cupo, il personaggio sul quale inizialmente l’allora Edizioni Audace (questo fu il primo nome della SBE) di Gianluigi Bonelli cercava di puntare.

E quel Tex Willer (che in realtà Gianluigi voleva chiamare Killer) sembrava così vivo e ben riuscito perché in realtà era la voce intima del suo creatore, quel Gianluigi Bonelli da cui tutto è partito, e che un giorno disse: “Tex sono io. Nel mio Tex c’è il mio senso di reazione a ogni ingiustizia”.

02. UN’EREDITA DA BOTTEGA

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Nel Tex Magazine da poco uscito in edicola che omaggia i Settant’anni di Tex (da noi recensito qui) Mauro Boselli ha raccontato del suo primo incontro con Gianluigi Bonelli. Lo conobbe quando frequentava le scuole elementari  “in una nebbiosa mattina milanese dei primissimi anni Sessanta quando una lunga Citroën si fermò davanti alla scuola elementare di via Mac Mahon e ne scese un signore con un cappello a larghe tese da cowboy, che si mise a regalare ai ragazzi dei volumetti dalla copertina rutilante di colori. Vi riconobbi subito Tex, che avevo imparato a leggere sugli albetti a striscia, nella sua nuova versione mensile, allora denominata “gigante”. Quel signore era naturalmente Gianluigi Bonelli”.

Quell’incontro fu decisivo per alimentare ulteriormente la passione fumettistica di Mauro Boselli (già all’epoca lettore bonelliano), il quale diversi decenni dopo sarebbe diventato il curatore della testata di Tex. Ma il percorso non è stato affatto semplice: lo stesso Boselli ha raccontato che, non appena entrato nella redazione della SBE, vide parecchie volte Gianluigi rifiutare soggetti di Tex, per la scarsa capacità da parte degli sceneggiatori di approcciarsi nella giusta maniera alle basi essenziali per scrivere il suo personaggio.

Così, rimboccandosi le maniche, e pazientando un bel po’ di tempo, Boselli lavorò per parecchi anni alla stesura di storie adeguate prima di proporre un soggetto di Tex. Questo perché Gianluigi Bonelli prima, ed il figlio Sergio dopo, hanno sempre coltivato il talento dei propri artisti, così come i vecchi artigiani lavoravano sulla propensione dei giovani apprendisti a cui trasmettevano il mestiere. L’arte del fumetto Bonelli infatti è come un sapere antico da vecchia bottega. Boselli imparò quella lezione, e sfornò anni dopo, al suo esordio sulla serie regolare, Il Passato di Kit Carson, un gioiello della narrativa texiana. Il buon Mauro aveva capito la lezione e appreso al meglio l’antico mestiere.

01. L’ITALIA, UN POPOLO DI SANTI, CONSERVATORI E… ROCKETTARI

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L’Italia è un Paese conservatore, spesso refrattario al cambiamento ed alle innovazioni. Tutto ciò si rispecchia anche nel consumo di fumetti. Ma il conservatorismo non è sempre sinonimo di negatività: il trasmettere l’arte del fare fumetti in casa Bonelli è un sapere di vecchia bottega che rappresenta uno dei modi più puri ed altamente qualitativi di far apprendere un’arte, che è anche un business.

Perché diciamolo chiaramente: i fumetti di Tex sono conservatori e refrattari alle innovazioni. Ma Tex di innovazioni non ne ha bisogno. Anche perché il pubblico italiano lo premia mensilmente con quasi duecentomila copie vendute. In molti, puntualmente, si scagliano contro questo stile conservatore e poco innovativo. Sempre Roberto Recchioni ha raccontato di aver detto un giorno allo stesso Sergio Bonelli che “era arrivata l’ora di sconvolgere i fumetti di Tex, magari uccidendo anche Kit Carson”. Insomma da buon incendiario Recchioni avrebbe avuto voglia di cambiare tutto. Ma alla fine, a distanza di anni, comprese che Sergio aveva ragione, e che di Tex non c’era nulla da cambiare.

Tex ha ragione di esistere così come è, perché ha uno schema narrativo perfetto, rappresentato al meglio da quella frase di Umberto Eco che definì Dylan Dog “sgangherato e sgangherabile”, la qualità tipica di ogni capolavoro. Lo schema narrativo di Tex, infatti, funziona così bene ed è talmente efficace, che nonostante oltre settecento albi, abbiamo ancora voglia di addentrarci in quell’America di frontiera ed in quei costanti e ripetitivi topos narrativi che sono alla base delle tematiche letterarie immortali (perché anche Star Wars è un raccoglitore di elementi base di storia della mitologia, volutamente inseriti da George Lucas in una narrazione che sa di apripista ed innovativo grazie anche all’invenzione di ambienti e personaggi azzeccati, ma che in realtà ha migliaia di anni di storia, ed affonda le sue radici in Omero e nell’epopea di Gilgames).

La ripetitività e la costanza di Tex è puntuale quanto ogni albo che esce in edicola il 7 di ogni mese, capace ogni volta di dare tutto ciò che chiediamo: avventura, paesaggi esotici, atmosfere cariche di mistero, tensione, scorribande a cavallo, pestaggi e pallottole volanti, elementi capaci di garantire l’ennesima fuga dalla realtà.

“Perché Tex è come gli Ac/Dc, si trasmette di padre in figlio” ha dichiarato sempre Roberto Recchioni (che di Tex è stato anche autore di due storie, una delle quali è un Color Tex intitolato La Strada per Serenity). Ed in effetti l’hard rock più classico offre quelli che alcuni critici definiscono “i soliti pezzi con riff da quattro accordi”, mentre per i fan degli Ac/Dc sono proprio quei riff da quattro accordi ad essere ciò di cui c’è bisogno, la base del loro credo, di quell’energia intima che va a scavare nello spirito giovanile di ogni adolescente pronto a conquistare la notte al ritmo di You Shook Me all Night Long, e capace di trasmettersi di generazione in generazione, proprio perché viscerale.

Tex è quindi l’equivalente della tradizione Hard Rock più classica, l’emblema di quella ribellione rassicurante e fidelizzante, di uno spirito d’avventura che riesce a saziare senza oltrepassare il limite, pronto a raccontare le storie di quella persona che avremmo voluto essere, o che vorremmo al nostro fianco nei momenti più difficili, ma che riusciamo a sentire comunque vicino. Lo stesso uomo che ha stretto un patto d’amore finito prematuramente con l’indiana Lilith, che ha condiviso una vita d’avventure appoggiandosi alla saggia spavalderia di Kit Carson, che non ha trovato limiti razziali nei confronti di Tiger Jack, che ha saputo crescere ed educare all’avventura il giovane Kit Willer. E tra le stregonerie di Mefisto, e l’ennesimo fuorilegge scappato dal carcere di Yuma, Tex ha sempre trovato il tempo, arrivata la sera, di sedersi davanti al fuoco a raccontarci la sua incredibile giornata. E noi da settant’anni siamo seduti al suo fianco ad ascoltarlo, fiduciosi nel fatto che anche stavolta saprà mantenere la promessa.

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