Maniac | Recensione

Pubblicato il 25 Settembre 2018 alle 20:00

Annie e Owen sono due sconosciuti che si incontrano più o meno casualmente in quanto aspiranti partecipanti a un trial clinico sperimentale che promette di porre fine ai disturbi mentali dei partecipanti in soli tre giorni, ma non tutto andrà secondo i programmi…

Maniac è una miniserie autoconclusiva composta da soli 10 episodi creata da Patrick Somerville (The bridge, The Leftovers) e diretta interamente da Cary Fukunaga (True detective, James Bond 25). Maniac è basato sulla omonima serie originale norvegese creata da Espen PA Lervaag, Håakon Bast Mossige, Kjetil Indregard e Ole Marius Araldsen.

Protagonisti principali di questo remake di Maniac sono Annie Landsberg, interpretata da Emma Stone (The Amazing Spider-Man, BirdmanLa La Land), e Jonah Hill (40 anni vergine, Una notte al museo 2 – La fugaDjango Unchained), nei panni di Owen Milgrim. I due attori figurano anche fra i produttori della serie, e i personaggi da loro interpretatati scopriranno di essere in qualche modo connessi:

  • Psicanalisi, addio!

Annie, Owen e altre persone con disturbi psichici come loro hanno deciso di partecipare a un trial clinico che si presenta come la soluzione definitiva ai loro problemi: assumendo una pasticca al giorno ed essendo monitorati da una equipe di medici altamente qualificata, i volontari potranno finalmente liberare delle proprie psicosi in soli 3 giorni di trattamento! Una proposta decisamente allettante, soprattutto per persone come Owen, che hanno già provato le terapie convenzionali senza però ottenere alcun tipo di miglioramento.

L’idea alla base del farmaco è in verità un progetto piuttosto ambizioso: guarire qualsiasi tipo di disturbo e malattia mentale con sole tre pillole, assunte in soli tre giorni, eliminando così per sempre non soltanto la piaga delle malattie mentali, ma anche la psicoterapia, considerata dal dottor James K. Mantleray, interpretato da Justin Theroux (Mulholland Drive, ZoolanderStar Wars: Gli ultimi Jedi), come fallace e obsoleta, in quanto per lui non è nemmeno una vera scienza.

Secondo il dottor Mantleray, se è possibile comprendere i meccanismi alla base del funzionamento della mente, allora è anche possibile “trasfigurarla”, ricostruirla. Il metodo elaborato da lui e dal suo collega Robert Muramoto prevede l’assunzione di una diversa pasticca al giorno, ognuna contrassegnata da una delle prime tre lettere dell’alfabeto, e ognuno con uno scopo e un effetto diverso sui pazienti.

Una volta assunta la pillola, i partecipanti allo studio clinico vengono fatti accomodare su delle sedie e collegati a uno speciale computer, che monitora ciò che avviene nelle loro menti.

  • Il futuro è anni ’80

Il genere a cui appartiene Maniac è definito ucronia, allostoria, fantastoria o storia alternativa: si tratta di una narrazione fittizia ambientata in un mondo molto simile al nostro, ma in cui la storia è andata in un modo diverso. In questo caso, il futuro rappresentato può essere visto come utopico o distopico, a seconda di quanto amiate gli anni ’80: in questo mondo, la tecnologia si è evoluta in certi campi in modo inaspettato, mentre in altri ricorda proprio gli anni ’80: ad esempio, TV e schermi per PC sono dei vecchi CRT, e la realtà virtuale, che esiste, presenta però una grafica obsoleta e “spixellata”.

Questa originale commistione genera degli ambienti visivamente molto affascinanti, ma i riferimenti a epoche storiche vintage si estendono anche ad altri fattori, come l’uso dei colori, alle volte particolarmente vividi e accesi (anni ’80), a volte più caldi, per un tocco ancor più vintage, l’abbigliamento dei personaggi, che ricorda gli anni ’70, e lo stesso logo della serie richiama quella della Neberdine Pharmaceutical and Biotech (NPB), la casa farmaceutica finanziatrice del trial clinico, il quale logo a sua volta richiama quello della IBM:

  • Multiversi cerebrali magici

Annie chiama così le visioni che i farmaci che sta testando su se stessa producono nelle menti dei pazienti. Le visioni, chiamate “riflessi”, sono differenti da persona a persona e hanno lo scopo di far prendere coscienza ai volontari dell’evento traumatico che ha dato origine al loro disturbo (pasticca “A”), di abbattere le difese che crea la mente (pasticca “B”) e, infine, di porre fine per sempre al disturbo (pasticca “C”).

Grazie a questo espediente narrativo, è stato possibile creare diversi “multiversi cerebrali magici” sia per Owen che per Annie, che spaziano da rappresentazioni più o meno realistiche al fantasy, il che conferisce anche varietà e dinamicità alla serie nel suo complesso.

I “riflessi” però hanno uno scopo, e per questo prestando attenzione ai dettagli delle vite dei protagonisti e a ciò che vedono nelle loro menti noterete degli elementi ricorrenti, ma queste visioni non sono fini a se stesse: ogni storia vissuta dovrebbe avere un fine terapeutico e di presa di coscienza sempre maggiore, fino a raggiungere la completa guarigione. Per questo, il carattere onirico dei “riflessi” riporta alla mente film come Eternal sunshine of the spotless mind, opere di David Lynch come Mullholland Drive e Twin Peaks, Apri gli occhi/Vanilla Sky, e gli amanti di manga e anime potranno trovare anche delle similitudini con lo Tsukuyomi Infinito creato da Uchiha Madara in Naruto.

Visivamente e simbolicamente, i mondi creati per Maniac sono affascinanti e complessi, ricchi di riferimenti alle vite dei protagonisti, e se correttamente interpretati porteranno non solo Annie e Owen, ma anche gli spettatori a scoprire come lavorano le menti dei protagonisti di Maniac.

Un altro mezzo per far conoscere agli spettatori i personaggi è quello di farli parlare molto spesso fra loro, e di far loro raccontare episodi delle loro vite passate, reali o fittizie che siano; questi però saranno anche i momenti in cui la narrazione procederà spedita, ma lo scorrere del tempo sullo schermo sembrerà rallentare.

  • Conclusioni

Maniac è una miniserie autoconclusiva di spessore, che porta sullo schermo immagini e messaggi simbolici affascinanti, e che, forte di una ottima regia e di attori all’altezza del compito, si presenta come un prodotto di ottima fattuta e apprezzabilissimo per gli amanti del genere, nonostante a volte la narrazione possa risultare piuttosto lenta.

 

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