Miguel Angel Martín: “Il mondo dei fumetti non mi rappresenta, questo mi rende speciale” | Intervista

Pubblicato il 25 Settembre 2018 alle 15:30

L’artista spagnolo è stato tra gli ospiti di punta della dodicesima edizione de Le Strade del Paesaggio di Cosenza

Miguel Angel Martín è uno dei fumettisti più estremi in circolazione. Opere come Brian The Brain, Rubber Flesh, Psycopathia Sexualis mettono in evidenza personaggi e ambienti nei quali a farla dal padrone sono le malformazioni, le diversità, la sessualità presa nei suoi aspetti più estremi, la violenza, e la malattia mentale. Martín mette al centro di questi fumetti storie che non vogliono giudicare o fare della morale, ma più in generale mirano a mostrare ciò che non tutti hanno il coraggio e la voglia di mostrare.

Emerso dagli ambienti della musica underground e delle riviste alternative Miguel Angel Martín  oggi si può considerare uno dei più importanti fumettisti in circolazione. E la sua cifra autoriale è un punto di riferimento per tutto il settore artistico, non solo quello dei fumetti.

Martín è stato tra gli ospiti di punta della dodicesima edizione de Le Strade del Paesaggio, il festival calabrese dedicato al fumetto, svoltosi dal 21 al 23 settembre presso il Castello Svevo di Cosenza. Il Museo del Fumetto della città ospiterà fino al 7 ottobre una mostra dedicata al fumettista spagnolo.

Durante i giorni di fiera abbiamo avuto la possibilità di intervistarlo, e di approfondire il suo punto di vista sul mondo e sulla creatività in generale.

Partiamo dal caso di censura che si è verificato proprio in Italia nel 1995, quando la Procura di  Cremona sequestrò il suo Psychopatia Sexualis perché ritenuto troppo violento. Il tutto alla fine si risolse con un nulla di fatto, con le accuse cadute nel vuoto, e con il fumetto che venne supportato da tutto l’ambiente fumettistico italiano. Ma alla luce di tutto ciò, oggi come oggi, secondo lei un’opera creativa può ancora considerarsi censurabile, e perché?

“Per me l’arte non dovrebbe avere limiti, però esistono per la società e ci saranno sempre”.

In quest’epoca piena di razzismo, alienazione da social network e populismo, lei, che ha sempre raccontato le negatività della società attraverso i suoi fumetti, sta concependo un’opera in grado d’incanalare l’atmosfera dei tempi che si respirano oggi?

“Ancora non ho avuto un’idea specifica a riguardo. Devo dire però che preferisco generalmente raccontare cose atemporali, e poi non mi va di realizzare storie opportuniste”.

La copertina della versione integrale di Brian The Brain proposta da Nicola Pesce Editore

Quali sono le sue ispirazioni artistiche? Ha qualche autore italiano che l’ha particolarmente ispirata?

“Da piccolo m’influenzarono molto Jacovitti e lo stile cartoonesco dalla linea chiara della Disney. Questo per quanto riguarda i fumetti. A livello cinematografico David Cronenberg è un regista che mi ha influenzato molto, mentre in letteratura è stato decisivo J.G. Ballard. Amo molto anche la musica, soprattutto quella underground, e devo dire che i Soft Machine sono il gruppo che creativamente mi ha dato di più stimoli. Comunque in generale la scienza, il porno e la tecnologia sono campi che stimolano la mia fantasia a la creatività che riverso nei fumetti”.

Oggi, o forse da sempre, i fumetti vengono spesso identificati con il genere supereroistico. Questa cosa, per lei che ha una cifra autoriale piuttosto importante, le dà un po’ fastidio?

“Mi dà un po’ fastidio il fatto che si identifichi il fumetto con i supereroi, ma la responsabilità credo sia più dei media che degli addetti ai lavori. Ad esempio la copertura mediatica che ha ogni anno il Comic-con di San Diego mette bene in evidenza tutto questo. Nel periodo in cui si svolge il Comic-con di San Diego, infatti, non si fa altro che scrivere e fare servizi sulle serie Netflix o sugli annunci riguardo ai film di supereroi, mentre lo spazio lasciato per parlare di fumetti, nonostante si tratti di una fiera di fumetti, è praticamente nullo”.

Quindi non scriverebbe mai una storia su un supereroe? 

“Pensa che Rubber Flesh è iniziata come storia su un supereroe. Quando però l’editor mi ha detto che il personaggio doveva volare ho rifiutato di continuare a lavorarci, ed alla fine mi hanno fatto fare il fumetto a modo mio. Però al di là di questo devo dire che ho molto amato in passato lo stile di Jack Kirby, e più in generale credo che i fumetti sui supereroi funzionavano quando si prendevano meno sul serio, e cercavano di essere meno adulti”.

In Brian The Brain ha mostrato un mondo malato, pieno di malformazioni ed esseri umani vittime di ciò che l’Uomo ha fatto al mondo ed a sé stesso. Al di là dell’aspetto metaforico del fumetto, pensa che l’Uomo si stia sensibilizzando su alcune tematiche (vedi inquinamento e cambiamenti ambientali) e sia proiettato verso un cambiamento, o andrà sempre peggio?

“La natura umana non cambierà mai. Le persone non sono felici nonostante la tecnologia, anzi, sui social network si esprime odio anziché comunanza e condivisione. Per certi versi sembra di essere tornati al medioevo. Forse in futuro, quando l’uomo potrà effettuare su sé stesso delle modifiche genetiche cambierà qualcosa, ma per il futuro recente non vedo cambiamenti all’orizzonte”.

Considera Brian The Brain il suo personaggio più riuscito? O comunque, perché secondo lei ha colpito così tanto i lettori?

“Brian è diventato molto popolare perché è un bambino, e questo suo essere piccolo e fanciullesco piace. Non avrei mai creduto che un mio fumetto potesse essere fonte di merchandising, ma Brian the Brain è riuscito a fare anche questo. Incredibile”.

Il TIME l’ha definita uno dei migliori fumettisti europei di sempre. Sente di avere qualcosa di diverso rispetto alla maggior parte dei fumettisti in circolazione?

“Il mondo dei fumetti, e tutto ciò che ne fa parte, non mi rappresenta, io sono autonomo, cerco un mio percorso creativo. Penso che sia questo che mi rende speciale”.

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