Outlaw King – Il Re Fuorilegge di David Mackenzie | Recensione

Pubblicato il 9 Novembre 2018 alle 15:00

E’ disponibile su Netflix Outlaw King – Il Re Fuorilegge, scritto e diretto da David Mackenzie e con protagonisti Chris Pine e Florence Pugh.

E’ affascinante e paradossale che un film come Outlaw King – Il Re Fuorilegge non possa godere della grandezza della schermo cinematografico, grandezza alla quale chiaramente ambisce fin dal primo fotogramma, ma anche sintomatico di quanto questa tipologia di prodotti appartengano sempre di più ad una piccola e ristretta nicchia che sta pian piano scomparendo: sebbene siano sempre appartenuti a Hollywood fin dai suoi albori, gli studios questi  film li ha praticamente rigettati, e dopo il successo de Il Gladiatore Il Signore degli Anelli l’epicità, le grandi battaglie in groppa ai cavalli e le immense e dettagliate ricostruzioni storiche si sono fatte sempre più rare. Poi è arrivato Il Trono di Spade, che ha spostato la partita su un altro campo da gioco, al cinema alla televisione, e quindi non dev’essere una sorpresa che il film di David Mackenzie arrivi su Netflix.

Un po’ lega-sequel e un po’ spin-off epigono di Braveheart di Mel Gibson (William Wallace sarà citato due volte nel primo atto, e farà addirittura un “cameo”), Outlaw King – Il Re Fuorilegge è senza ombra di dubbio un ottimo film, e senza ombra di dubbio non ha le idee molto chiare relativamente a ciò che vuole essere. Come un cavaliere coi piedi in due staffe, l’opera si muove su un leggero e costante equilibrio fra film d’autore e prodotto commerciale, finendo con collezionare lungo il percorso cadute di stile sia in un senso che nell’altro. Più si va avanti, più i barocchismi dei piani sequenza coreografati e pretestuosi, il montaggio indolente e le immagini ascetiche cozzano con le atmosfere frettolose della sceneggiatura sbrigativa e semplicistica, come se Mackenzie non avesse ben chiaro quale strade seguire.

Non si capisce mai se il suo intento fosse quello di realizzare un film art house sviluppandone temi e personaggi con i tempi e i ritmi di un blockbuster, oppure quello di girare un blockbuster con l’ambizione ai modi del cinema più autoriale. E’ un po’ quello e un po’ quell’altro, ma non riesce mai a diventare epico come i modelli che cerca evidentemente di imitare. Il difetto maggiore è lo stesso che penalizzava Blade Runner 2049, con gli antagonisti goffamente tratteggiati come veri e propri villain da fumetto, elemento che cozza in modo gravissimo con le atmosfere da dramma serioso suggerite dall’impianto scenico, dalla regia arzigogolata e impegnata e dalla fotografia naturalista di lubezkiana memoria. Come nel film di Denis Villeneuve c’è una finta serietà a reggere la narrazione, malamente camuffata dietro un confine fra bene e male fin troppo evidente, con cattivi sempre cattivissimi al punto da risultare caricaturali.

E’ un dettaglio apparentemente secondario ma che stabilisce tutti i limiti del film, mai brutto e sempre godibile ma ben lontano dal capolavoro che sperava di diventare (proprio come BR 2049). Ottimo il cast, con la chimica fra Chris Pine e Florence Pugh (che si dimostra la migliore attrice inglese della sua generazione, sempre non solo credibile ma perfettamente calzante in tutti i ruoli che si è scelta finora) che fa pensare ad una versione scozzese della love story fra Robin Hood e Lady Marion. Anzi, a pensarci, è proprio la stessa.

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