Apostolo di Gareth Edwards | Recensione

Pubblicato il 14 Ottobre 2018 alle 15:00

E’ disponibile su Netflix Apostolo, il nuovo film di Gareth Edwards con protagonisti Dan Stevens,  Lucy Boynton, Mark Lewis Jones, Bill Milner, Kristine Froseth e Michael Sheen.

C’è tantissimo di Lost nell’allucinato, agghiacciante e meraviglioso Apostolo di Gareth Edwards: c’è nel legame con l’isola e il mistero che essa custodisce, nella mortalità delle donne partorienti, nel potere che alimenta la vita sull’isola, nella dialettica fra divinità e leader degli isolani e soprattutto nei conflitti sociali, politici e quindi gerarchici che nascono nella popolazione. E se il regista di Merantau, The Raid e The Raid 2 sentiva il bisogno di distaccarsi dal cinema di arti marziali che così bene aveva gestito nelle sue opere precedenti, allora non poteva trovare una strada migliore di questa.

Religione, sangue, morte, follia e sovrannaturale si mescolano in un horror intelligente, spinto, privo di freni inibitori quando si tratta di mettere in scena la violenza e dettagliatissimo nel delineare sia i tratti caratteriali di tutti i suoi personaggi, sia i limiti morali del loro comportamento, Apostolo riesce nel difficilissimo compito di intrattenere e far riflettere, spiegando attraverso le immagini e pochi dialoghi – concisi ma evocativi – la filosofia di un autore complesso e affascinante, che tutto il mondo voleva vedere alle prese con qualcosa di un po’ più ambizioso e che con questo vero e proprio spartiacque per la sua carriera ha saputo rispondere presente.

E’ il 1905 e Thomas Richardson (Dan Stevens), figlio prodigo che da anni ha rotto i già incrinati rapporti col padre, è costretto a tornare a casa quando gli giunge la notizia che sua sorella Jennifer (Elen Rhys) è stata rapita da un misterioso culto religioso. Per salvarla a Thomas non resta che recarsi sulla remota isola dove i membri della setta si sono auto-esiliati per allontanarsi dal resto del mondo, ma una volta arrivato si renderà conto che quel luogo nasconde ben più di quanto potesse immaginare.

Il mondo che Edwards allestisce è oscuro e nichilista, uno che non lascia scampo, un mondo che accetta il sovrannaturale e quindi l’esistenza di Dio ma non solo lo teme, lo associa al dolore e alla follia e a tutto il male che infesta l’uomo: Dio non è più morto, Dio c’è ma è il male e contagia i deboli, che in suo nome commettono atti indicibili, al punto da schiavizzarlo e usarlo per i propri fini.

La sceneggiatura – scritta sempre da Edwards – è ampia e focalizzata allo stesso tempo, non si distrae e va sempre dritta al punto, approfondendo la psicologia di tutti i personaggi non tanto attraverso le loro parole, ma piuttosto mediante le loro azioni: c’è Michael Sheen che fa il profeta in stile Paul Dano de Il Petroliere, ma forse fra le baracche dell’isola c’è qualcuno più invasato di lui; c’è sua figlia Andrea (Lucy Boynton), che non vuole credere a ciò che suo padre potrebbe diventare; ci sono due ragazzi che vogliono solo amarsi (Bill Milner e Kristine Froseth) e c’è perfino un inquietante figuro che ricorda Lo Storpio di Pulp Fiction, ma almeno dieci volte più inquietante e soprattutto più letale.

Ma soprattutto c’è una qualità impeccabile in ogni aspetto della produzione, dalla fotografia naturalista alla colonna sonora martellante e spettrale, e un talento non comune nell’essere efficaci tramite l’essenzialità: c’è una sola scena che si mangia tutto Silence di Martin Scorsese a colazione e ci ricorda di quali atrocità sia capace l’uomo  riassumendo in maniera perfetta il conflitto Uomo-Dio senza bisogno di inutili prolissità o patetismi vari.

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