Havok & Wolverine – Fusione | Recensione
Pubblicato il 29 Settembre 2018 alle 11:00
Panini Comics ripropone in un prestigioso volume della collana Grandi Tesori Marvel una delle miniserie più incisive e graffianti della Marvel: Havok & Wolverine: Meltdown! I coniugi Simonson narrano una storia dai toni adulti e cupi avvalendosi del talento pittorico di Jon J. Muth e Kent Williams!
Quando si parla di fumetti americani dai toni adulti e sofisticati si pensa immediatamente alla divisione Vertigo della DC. Si tende, però, a trascurare un particolare significativo. Molto prima della DC, infatti, la Marvel aveva creato negli anni ottanta qualcosa di simile con la linea editoriale Epic, marchio dedicato a serie e miniserie sperimentali e trasgressive, lontanissime dalle atmosfere narrative supereroiche della Casa delle Idee.
Grazie alla Epic i lettori ebbero quindi modo di scoprire opere dirompenti come, tra le tante, Marshall Law di Pat Mills e Kevin O’Neill, Blood e Moonshadow di J.M. De Matteis e John J. Muth, Elektra: Assassin di Frank Miller e Bill Sienkiewicz e Stray Toasters, sempre di Sienkiewicz. Ora Panini Comics propone in un prestigioso volume una miniserie Epic che vede come protagonisti Havok e Wolverine, eroi mutanti che non hanno certo bisogno di presentazione.
Ma, come avrete modo di scoprire, non è una storia come tante altre. La vicenda è narrata da Walt e Louise Simonson che all’epoca si occupavano insieme di X-Factor. Per giunta, Louise firmava pure New Mutants ed entrambi, quindi, conoscevano bene l’universo mutante ideato dal grande Chris Claremont. I Simonson affrontano, con il pretesto di un’avventura di supereroi, un tema importante, quello dell’inquinamento nucleare. Non a caso parte della trama si svolge a Chernobyl.
La storia si ricollega parzialmente a un serial di Havok pubblicato a puntate sull’antologica Marvel Comics Presents. Dopo essere stato sedotto e quasi ucciso dalla temibile Magma, Havok si trova in una condizione psicologica e sentimentale precaria e si imbatte in Logan che cerca, a modo suo, di fargli dimenticare i problemi amorosi. Questo è solo l’inizio di una story-line in quattro parti che vedrà Wolverine e Havok in Ucraina e in Messico, implicati in un complotto ideato da un misterioso individuo chiamato Generale Fusione.
La vicenda ha toni cupi ed estremi e influenzata dalle spy stories. I Simonson concepiscono una trama avvincente, con testi e dialoghi irriverenti, quasi un’anticipazione dell’attitudine Vertigo. Denunciano in maniera netta l’orrore del nucleare e presentano i due eroi in una versione meno edulcorata di quella degli albi mainstream. Wolverine, apparentemente, può anche non sembrare sconvolgente, considerando che i suoi lati negativi sovente emergevano nelle X-collane. In questo caso, tuttavia, è realmente violento, uccide come respira e uno dei meriti degli autori è stato quello di aver saputo evidenziare gli istinti aggressivi e animaleschi che da sempre lo caratterizzano senza porsi limiti espressivi.
Havok, d’altro canto, è freddo e intimidente, lontano anni luce dalla versione classica. Havok & Wolverine: Meltdown è già da tenere d’occhio per la sceneggiatura ma l’aspetto grafico la rende imperdibile. Non potrebbe essere diversamente, dal momento che si avvale del talento pittorico dei grandissimi John J. Muth e Kent Williams. Benché accomunati dal fatto di realizzare veri e propri quadri, sono comunque dotati di stili differenti.
Nella mini si sono divisi i compiti. John J. Muth rappresenta Havok e ha un tratto fotografico, quasi iperrealista. Secondo la sua interpretazione, Alex Summers è un mix di James Dean e Rutger Hauer. Wolverine è invece appannaggio di Kent Williams che ci dona un Logan spaventoso: gobbo, irsuto, con un viso da bastardo, impegnato a compiere uccisioni in continuazione. Gli sfondi delle vignette vengono realizzati sia da Muth che da Williams con risultati eccellenti, così come eccellente è la rappresentazione dell’umanità allo sfascio che popola la vicenda: ladri, sicari, prostitute e criminali di ogni tipo degni dei mondi infernali di Goya.
Muth e William si sbizzarriscono pure con i colori. Prevalgono tonalità cupe e oscure che fanno, appunto, venire in mente i capolavori di Goya. Ma bisogna anche citare le tavole conclusive che costituiscono il culmine di una storia ansiogena (non intendo spoilerare ma accadrà qualcosa di devastante). In questo caso, Williams e Muth hanno spruzzato le tavole di un verde acceso, elettrico, psichedelico, che contrasta con le sfumature dark predominanti. L’impatto è notevole.
Insomma, se volete leggere un fumetto Marvel diverso dal consueto e recuperare un’opera giustamente annoverata tra le pietre miliari della Casa delle Idee, non potete trascurare questo volume.