L’Uomo Che Uccise Don Chisciotte di Terry Gilliam | Recensione

Pubblicato il 28 Settembre 2018 alle 15:00

Arriva finalmente in Italia L’Uomo Che Uccise Don Chisciotte, attesissimo film che il regista Terry Gilliam ha sviluppato per oltre venticinque anni.

“Dopo venticinque anni di fare e disfare …”

Con la dida qui sopra inizia L’Uomo Che Uccise Don Chisciotte, questo già (o ormai, fate voi) mitologico film che l’ex Monthy Python Terry Gilliam ha assemblato, distrutto, ripreso a più riprese e finalmente portato a termine dopo mille e più difficoltà.

La storia la conosciamo, riassunta meravigliosamente dal documentario del 2002 Lost in La Mancha realizzato dai due collaboratori di Gilliam, Keith Fulton e Louis Pepe: un progetto iniziato addirittura alla fine degli anni ’80, entrato ufficialmente in produzione alla fine dei ’90 (con Jean Rochefort nei panni di Chisciotte e Johnny Depp in quelli di Sancho) e abbandonato nel 2000 a causa di problemi finanziari problemi di salute dell’attore principale ritardi e perfino la distruzione dei set per colpa delle alluvioni (!); a quel punto il limbo, con molteplici false partenze nei successivi quindici anni, cambi di attori (John Hurt avrebbe dovuto ereditare il ruolo di Rochefort e per quello di Depp si era pensato, fra gli altri, a Colin FarrellEwan McGregor), discussioni coi produttori (ah Paulo Branco, quanti guai hai fatto passare a mr. Gilliam!) e poi … dopo venticinque anni di fare e disfare …

Forse doveva andare così fin dall’inizio, con un attore all’apice del suo successo (Adam Driver, qui nella sua performance migliore) e quel Jonathan Pryce così fortemente terrygilliamiano, lui che del capolavoro di Gilliam Brazil nel 1985 fu il protagonista. Sostanzialmente il suo Don Chisciotte, o meglio un calzolaio divenuto attore che ha interpretato il personaggio in un film a basso budget e che col tempo, perdendo qualche rotella, ha iniziato a credere davvero di essere Don Chisciotte, è in pratica lo stesso personaggio di quel Sam Lowry che Gilliam si divertiva a torturare e deridere in Brazil: un povero sognatore, un illuso, che però vive in un mondo di crudeltà dove le illusioni (e soprattutto i sognatori) vengono presi a calci nei denti.

Doveva essere il film della vita per Gilliam, e in un certo senso lo è: magari non a livello qualitativo, perché un film la cui gestione è durata così tanto non poteva venire fuori meglio di così, ma sicuramente lo è per come gioca con la filmografia del regista, riprendendone stilemi e poetica e diventandone una sorta di riassunto barra manifesto. Ci sono praticamente tutti i film di questo mirabolante genio del ‘900 in L’Uomo Che Uccise Don Chisciotte, dal già citato accanimento filosofico contro gli ingenui visto in Brazil allo sfarzo di stampo barocco de Le Avventure del Barone di Munchausenagli sfasamenti temporali di I Banditi del Tempo, alla dialettica barra scontro fra folle e realista de La Leggenda del Re Pescatore (sostituite Jeff Bridges e Robin Williams a Sancho e Chisciotte et voilà), l’amore/odio/ossessione per la pubblicità che riempiva L’Esercito delle Dodici Scimmie e il più recente e meno riuscito The Zero Theorem e ovviamente la satira dei Monthy Python, da Il Santo Graal a Il Senso della Vita, con una gag su Trump e un’altra sulla religione e le pecore che sono l’essenza stessa del significato di esilarante.

Insomma, che altro dire: piuttosto che pensare al film che sarebbe potuto essere oltre vent’anni fa è molto meglio prenderlo per ciò che è finito col diventare oggi, ed essere grati che alla fine sia riuscito a diventare più che un’idea nella mente di un folle. Un plauso a Terry Gilliam, che finalmente è riuscito ad uccidere il suo Don Chisciotte.

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