Soldado di Stefano Sollima | Recensione

Pubblicato il 19 Settembre 2018 alle 20:00

Stefano Sollima dirige Josh Brolin e Benicio Del Toro nel sequel di Sicario di Denis Villeneuve.

L’anno scorso Denis Villeneuve con Blade Runner 2049 aveva realizzato un bellissimo sequel che ampliava l’originale Blade Runner di Ridley Scott ma fondamentalmente risultava inutile, falliva nel piantare le fondamenta per erigere un franchise e rimaneva lì, a metà fra il fine a se stesso e l’omaggio ad un capolavoro della storia del cinema che nel mondo siamo andati a vedere in quattro o cinque.

Ironicamente oggi ad essere ampliato è il mondo di Sicario, uno dei tre migliori film di Villeneuve (gli altri sono EnemyArrival), che il nostro Stefano Sollima si diverte a fare suo per quello che sembra, a tutti gli effetti, il primo mattoncino di una nuova saga: come per Blade Runner 2049 questo Soldado non è migliore dell’originale, però il film di Sollima dovrebbe quasi sicuramente riuscire nel suo intento di dar vita ad un franchise (gli incassi hanno già raddoppiato il budget, che la produzione è stata scaltra a tenere medio-basso) e quasi quasi ci speriamo, perché il regista di ACABSuburra questa passerella se la merita eccome.

Una (buona parte del merito) va data di certo alla sceneggiatura di Taylor Sheridan, che dopo Sicario, Hell or High Water, I Segreti di Wind River (suo esordio alla regia) e la serie tv Yellowstone continua a giocare col genere western mescolando i tropi classici con atmosfere moderne:  qui usa con astuzia la vicenda di un losco intrigo governativo per parlare di terrorismo e immigrazione, ovviamente puntando la sua lente di ingrandimento sulla frontiera messicana, i cartelli della droga e il modus operandi prettamente imperialista degli USA, e di come quel confine politico e geografico sia sottile quanto la moralità di tutti gli schieramenti coinvolti.

Come nel primo film, saranno due le storyline che andranno ad intrecciarsi nel corso del film, per incontrarsi inevitabilmente nell’ultimo atto: il macro-racconto (che vede protagonisti il Matt di Brolin e l’Alejandro di Del Toro), è incentrato sulla strategia divide et impera della CIA, che piuttosto che combattere tutti i cartelli organizza un diabolico piano per farli scontrare fra loro (rapendo la figlia di un boss per poi far ricadere la colpa su un cartello rivale); il micro-racconto, invece, segue un ragazzino del Texas, membro di una gang locale invischiata nel traffico illegale di migranti.

Nel lavoro di Sollima c’è un po’ dei thriller di Michael Mann, un po’ di Logan di James Mangold e soprattutto una summa (a livello produttivo e artistico) di tutti i suoi lavori passati, dalle serie di Romanzo Criminale e Gomorra a Suburra: è ammirevole il modo in cui il regista romano si interroga sulle ambiguità e le contraddizioni che fondono (e confondono) il bene e il male nelle situazioni che ama raccontare.

Gli attori sono molto più che a proprio agio, con Brolin e Del Toro (specialmente) affascinati dai loro personaggi forse più di quanto non lo sia Sheridan stesso. Menzione a parte, infine, per Isabela Moner, già vista l’anno scorso in Transformers – L’Ultimo Cavaliere di Michael Bay ma qui incredibile nel ritrarre tutte le sfaccettature di un personaggio complesso e meravigliosamente scritto.

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