The Nun – La Vocazione del Male di Corin Hardy | Recensione
Pubblicato il 21 Settembre 2018 alle 15:00
Arriva in Italia il nuovo film del The Conjuring Universe, The Nun.
C’è praticamente un solo non detto in tutto The Nun (ha a che fare con le bombe, i nazisti e l’idea che le guerre possano portare sul mondo anche un altro tipo di male), ma quello basta a Corin Hardy, che da lì in avanti si butterà a capofitto nella sua unica missione, ovvero quella di terrorizzare il pubblico. E il film ci riesce, e anche spesso, magari non ai livelli di The Conjuring 2 – Il Caso Enfield (di cui è prequel-spin-off) o a quelli di The Conjuring (ma quanti sono i film che riescono a spaventare come il capolavoro di James Wan?), né tanto meno con quella maestria tecnica e registica e con quella coerenza narrativa, eppure il gusto nello strutturare le scene di tensione e di paura è così particolare e riconoscibile all’interno di questa saga barra universo cinematografico da riuscire a sopperire anche agli evidenti problemi di sceneggiatura (che del resto è stata scritta da quel Gary Dauberman già autore di Annabelle e Annabelle 2: Creation).
Il trucco è semplice, mostrare l’orrore di continuo, rendere tangibile sulla scena tutte le minacce per i protagonisti (spesso facendole comparire alle loro spalle) aumentando la tensione secondo le regole del classico meccanismo hitchcockiano (secondo il quale il pubblico deve saperne molto più rispetto al personaggio, al contrario completamente ignaro). Da lì è tutta in discesa, perché lo spettatore è così impegnato a temere per la sorte dei personaggi da essere disposto ad ignorare le risibili incongruenze della sceneggiatura, scritta appositamente per arrivare in 75 minuti al climax dell’atto finale e chiudere tutto entro i 100 minuti : a livello narrativo The Nun, insieme con Annabelle e Annabelle 2: Creation, si posiziona ben al di là del campo della sospensione dell’incredulità ma ugualmente riesce a divertire e soprattutto a spaventare.
Primo capitolo del franchise a livello cronologico (siamo nel 1952, tre anni prima degli eventi di Annabelle 2), The Nun ci porta in un misterioso monastero di clausura della Romania del dopo-guerra. Una suora si è suicidata e il terribile fatto spinge il Vaticano ad inviare padre Burke (Demian Bichir) e la giovane suor Irene (Taissa Farmiga, sorella minore di Vera) per investigare. Tra la riluttanza generale degli abitanti del villaggio, che sostengono che il monastero sia infestato da anni, i due troveranno l’aiuto del Francese (Jonas Bloquet), giovane franco-canadese che occupando di rifornire le suore di vettovaglie e altri beni di prima necessità è l’unica persona che nella zona si avvicina regolarmente al convento (è stato lui a trovare la suora defunta).
Ma ovviamente nel momento in cui i tre metteranno piede all’interno dell’edificio, fatiscente e vessato dai bombardamenti dei nazisti, capiranno che Dio ha perso il suo potere su quelle terre molto tempo fa.
E’ tutto molto bello nel film di Hardy, eccetto la sceneggiatura: scenografie, costumi (padre Burke sembra un detective di un noir anni ’50, tutto in nero, contrapposto alle vesti bianche dell’angelica suor Irene), la fotografia economica ed essenziale e perfino la regia, che punta poco sui jump-scare ma come da tradizione per la saga si diverte a costruire lentamente ogni sequenza horror, per poi farla esplodere all’improvviso. Tra tanti riferimenti al cinema horror italiano (da Lucio Fulci a Michele Soavi, passando ovviamente per Dario Argento) e uno bellissimo a Il Signore degli Anelli (ebbene si!), The Nun conferma la forza produttiva di Mr. Wan e soci e non fa che aumentare l’attesa per le prossime iterazioni del franchise.
Speriamo che la guida di Walter Hamada illumini il cammino anche allo zoppicante DC Extended Universe.