Recensione La Dottrina – Magic Press

Pubblicato il 6 Settembre 2010 alle 09:02

Autori: Alessandro Bilotta (storia), Carmine di Giandomenico (disegni e colori)
Casa Editrice:
Magic Press
Provenienza:
Italia
Prezzo:
8€ (per 4 volumi, serie conclusa)


La Dottrina è un’opera che nasce dallo stesso spirito paranoico e aggregante di simboli che si è manifestato in opere come 1984 di Orwell, Brave New World di Aldous Huxley,  e prima ancora nelle società tecnocratiche pensate, intuite dai futuristi.  Ma che bisogno c’è, oggi negli anni zero , nel terzo millennio di  un’altra opera di questo tipo? A pensarci bene è stato un argomento scavato, approfondito, rimaneggiato e ridigerito tante volte e in diverse maniere (più o meno intelligenti, più o meno interessanti). Ma quest’opera riesce a cogliere nuove sfumature, non solo dal punto di vista concettuale ma anche delle possibilità espressive, che i loro predecessori non  hanno saputo\voluto\pensato di elaborare.

Innanzitutto, il mondo de La Dottrina, è razionalmente, scientificamente organizzato in una struttura sociale stabilita dall’alto, in cui sentimenti, vite, lavori, malattie, guerre e odii, vengono somministrati con cura e precisione, in una continua anamnesi medica-psicologica della popolazione. C’è poca sfumatura tra lo studente delle scuole primarie  sotto interrogazione e l’impiegato a colloquio con l’ispettore. Molto spesso si tratta ancora delle stesse, medesime domande. Ogni risposta viene catalogata, analizzata, considerata fisiologicamente e socialmente. Tutto ha un ordine. L’amore, il sesso, la morte, le sparizioni. Un ordine assimilato internamente dai cittadini e compreso nel suo linguaggio, nel suo essere anche contraddittorio. Le eccezioni infatti sono la particolarità più interessante di quest’opera. Eccezioni che in altri sistemi totalitari sarebbero impossibili, incoerenti, anzi un punto di debolezza della catena; qui, al contrario, sono biologiche necessità per la sopravvivenza della struttura. Capelli lunghi, oggetti analogici di perduta conoscenza (come le macchine fotografiche) anche il regalo del significato di qualche “parola” di cui si è dimenticato il valore, la sostanza, sono regali a coloro che hanno una posizione sociale non solo più elevata ma anche una visione di insieme discostata, laterale delle cose.

Le storie che ci vengono presentate sono esemplari. Un “professore”, ovvero una guardia del regime, dall’aspetto asessuato ma innamorata ed amante segreta di un uomo timoroso ma narratore di storie dal sapore naif, genuino, primitivo. Un impiegato disossato, dalla mente in bilico tra la “stabilità” e “quiete” del sistema e la schizofrenia. Dei ragazzi, colpevoli di avere genitori “colpevoli”, deportati al confine della città, dove ex-tossicodipendenti, violenti, criminali hanno il ruolo di ri-educatori, e ai nuovi arrivati vengono dati soprannomi o, peggio,  nomi di ragazzi morti prima di loro,  per distruggere l’idea di futuro, di crescita. Si creano così diversi piani di lettura e di analisi della narrazione, sopratutto quando Bilotta riesce a mischiare l’intreccio in un caos ordinato di impressioni e emozioni, che generano nuovi legami e associazioni libere.

Abbiamo così davanti agli occhi un organismo vivo e pulsante in cui anche le scorie e i tumori hanno un ruolo di primissimo piano. La “Smorfia”, il ribelle, che dall’interno dona alla gente la consapevolezza dei numeri che gli sono stati assegnati è il simbolo della ritrovata conoscenza di sè,  di una fase di maturità e disillusione dal torpore quotidiano necessari al corretto funzionamento della città. Tutto in La Dottrina ha un significato sociale, condiviso dalla comunità. Ogni cosa è simbolo di un’idea, di una regola, di un divieto, di un comportamento. Come un cocomero può essere considerato velenoso, così il gusto della narrazione, l’ affabulazione sono peccati di immaginazione, puniti dalla legge, in quanto rielaborano i significati, ne fanno un gioco. Non bisogna quindi stupirsi se proprio il mito della caverna di Platone viene ripreso e riarrangiato: i  simulacri, le ombre, le menti degli uomini imbrogliati da illusioni del filosfo greco hanno un perfetto corrispondente con la struttura cerebrale rigida del regime. L’inizio della rivolta corrisponderà proprio con la rinascita del racconto, della demisificazione dei contenuti.

Questa  ricchezza di interpretazioni viene esaltata dal grande lavoro di Carmine di Giandomenico ai disegni. Il suo è uno stile, un approccio che cambia e si evolve continuamente. Passando dall’acquerello, alle matite, ad uno stile più moderno, possiamo apprezzare una visione immersiva e distanziata allo stesso tempo della storia. Personaggi che irrompono dalle vignette verso gli occhi del lettore, tavole scarne o picchiate più e più volte da colori stridenti. Oppure lievi, delicate tratteggiature e ombre, pelli trasparenti appena illuminate da un’alba fredda…. un panteismo di colori e tratti che fungono da ulteriore strato di significato ad un’opera, che come quelle che l’avevano preceduta nello stesso campo, non avrebbe stupito nessuno nell’uso di tre quattro tonalità di grigio appena. Uno sport avvicente è per gli occhi del lettore approfondire i significati visuali accoppiati  a quelli dei dialoghi, dei non-dialoghi e dei silenzi della sceneggiatura. Da non dimenticare i diversi spunti metanarrativi che abbondano sopratutto nell’ultimo volume, in cui gli autori stessi prendono vita in una trasmissione distorta e piena di interferenze. Il loro non è un invito ad una lettura specifica ed unica, ma il desiderio che si prenda noi stessi consapevolezza delle profondità che può offrire una lettura.

Una lettura  interattiva in cui il cervello deve pulsare e dilatarsi\contrarsi.

Numerosi sarebbero altri dettagli da approfondire come le numerose citazioni di poesie di chiaro stampo futurista italiano, che donano una sfumatura temporale e un’attitudine al linguaggio molto aperto e ancora più metaforica. Oltre alle curiosissime lezioni de la “Terapia Perelà”, piccoli anfratti in cui semplici concetti scolastici per bambini corredati di immagini possono far venire talvolta i brividi per la loro ingenua cinica visione della realtà.

Ma questi anfratti, come altri che probabilmente non ho saputo cogliere ad una prima e nemmeno seconda lettura li lascio scoprire a voi lettori.. sia perchè se siete giunti fino a qui sarete stanchi di starmi a leggere, e, secondariamente, devo lasciarvi con un minimo di fanciullesca curiosità.

Buona Lettura!!


VOTO 7,5

Articoli Correlati

Tra i giganti indiscussi del cinema d’animazione giapponese, Akira si colloca senza dubbio tra le opere più influenti e...

23/12/2024 •

15:00

L’universo di Shonen Jump potrebbe presto espandersi su Netflix con due delle sue serie manga più amate, Kagurabachi e...

23/12/2024 •

14:15

TOHO Animation, già un gigante nell’industria dell’animazione giapponese, sta continuando la sua strategia di espansione...

23/12/2024 •

13:30