Preacher 3×07: “Hitler” | Recensione

Pubblicato il 6 Agosto 2018 alle 17:30

La fine della stagione si sta avvicinando, e potrebbe portarsi dietro la fine del mondo.

In questi tempi di puerile perbenismo in cui un tweet è in grado di decidere le sorti di una compagnia miliardaria, e in cui il presentarsi con un ciao può tramutarsi in una denuncia per molestie nel giro di un istante, è davvero difficile non amare una serie come Preacher. Che, con tutti i suoi difetti, le sue storture e la sua sregolatezza, rimane sempre e comunque fedele a se stesso e soprattutto non si trattiene mai. Perché non sa come fare, in primo luogo, e anche perché se lo facesse affogherebbe nei suoi stessi limiti.

Come una sorta di equivalente televisivo dell’autobus di Keanu Reeves in Speed, la serie creata da Seth Rogen ed Evan Goldberg semplicemente non può permettersi di scendere sotto quella certa soglia minima di esagerazione che funge da fondamenta del progetto AMC: lo standard che il pubblico si aspetta da Preacher ormai è quello che lo stesso Preacher si è scelto per se e ad oggi nessun’altra serie ha il fegato di dire le cose che vengono dette qui. Magari non sempre vengono dette nel modo più appagante, ma questo è un altro discorso.

E il nuovo episodio, Hitler, ne è l’esempio perfetto.

Abbiamo un dittatore decaduto e tornato dall’Inferno che lavora in una panineria. Abbiamo un tizio con la faccia a forma di buco di culo. Abbiamo un santo assassino il cui solo scopo è quello di assassinare. Abbiamo, in sostanza, un mucchio di roba che altrove non solo non esiste, ma è proprio impensabile.

Il problema è che nella sceneggiatura di Carla Ching questi tre elementi vengono slegati subito, e Hitler, Eugene e il Santo degli Assassini scompaiono dopo i titoli di testa. Su 45 minuti il personaggio che dà il nome al titolo dell’episodio è presente in quell’episodio soltanto per i primi 5. E’ schizoide e insensato ma già fa ridere così.

Un altro punto debole è rappresentato da Tulip. Anzi, non da tanto da Tulip, quanto piuttosto dalla volontà degli autori di volerci ricordare in ogni singola scena quanto Tulip sia tosta, intelligente e intraprendente, la vera incarnazione del MeToo e del girl-power. Perché a quel punto, quando c’è bisogno di mostrarla insicura o in difficoltà per una data ragione – non importa quale – allora lo spettatore non ci crede, non sente le sue ansie, non percepisce i suoi timori, e anzi sa già che in qualche modo se la caverà, che ne verrà a capo.

L’incontro tra il Graal di Herr Starr e Gran’ma ad Angelville invece funziona, con Jesse che chiude un inedito triumvirato pensato per sostituire definitivamente quello che il nostro predicatore aveva iniziato con la sua ragazza e Cassidy.

Proprio il vampiro, invece, che nei primi episodi della stagione era stato lasciato leggermente da parte, incarna la parte migliore dell’episodio: la sotto-trama de Les Enfants du Sang è sempre più audace e interessante, con il rapporto omosessuale fra Cassidy e l’eccentrico Eccario che prelude a svolte a dir poco eclatanti.

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