Yellowstone 1×05 – Coming Home | Recensione

Pubblicato il 31 Luglio 2018 alle 15:00

Al giro di boa di questa prima stagione inizia a salire la tensione in quella che si prospetta una guerra che verrà combattuta su tre fronti.

Il quinto episodio di Yellowstone, intitolato Coming Home, arriva a pochi giorni dalla conferma del rinnovo per una seconda stagione, e segna anche il giro di boa questa prima stagione. Il precedente episodio – la nostra recensione QUI – si era chiuso con l’arresto di Kayce Dutton dopo che i proiettili della sua pistola erano stati rinvenuti in alcuni resti umani sepolti nella Riserva, sappiamo in realtà che Kayce ha sparato per difendersi da alcuni balordi che avevano rapito una ragazza.

L’episodio di questa settimana si apre con una scena inaspettata, viste soprattutto le premesse delle scorse settimane, Monica – la moglie di Kayce – chiede aiuto al suocero John Dutton per cercare di liberare Kayce di prigione.

John attiva immediatamente i suoi contatti scoprendo che Kayce è in custodia presso la polizia della Riserva, decide quindi di mandare Jaime a recuperarlo. Messo alle strette, prima che arrivi il fratello avvocato, Kayce spiega quanto accaduto ma sarà solo l’eloquenza del fratello, unita alle precedenti manovre di Thomas Rainwater – lo scambio di pistola con il capo della polizia della Riserva, a permettergli di essere liberato e tornare quindi al ranch del padre.

L’impressione è però che questo arresto sia stato l’ennesimo tentativo da parte del capo della Riserva di cercare punti deboli nella famiglia Dutton cosa che sembra aver compreso benissimo anche John. Il patriarca della famiglia Dutton vuole che Kayce, Monica e il piccolo Tate si trasferiscano al Ranch – soprattutto per evitare che il figlio si cacci in nuovi guai – e arriva addirittura a contattare il Rettore dell’Universa del Montana affiché offra un lavoro a Monica. La proposta di John crea ovviamente tensione fra Monica e Kayce ma l’ago della bilancia sembra essere il piccolo Tate.

Intanto Beth continua la sua marci di distruzione del magnate Dan Jenkins questa volta prendendo di mira sua moglie. Il compito, e la permanenza in Montana, stanno seriamente provando la donna che ha un nuovo crollo davanti al fratello Jaime. Lo stesso Jenkins però inizia a preparare le dovute contromosse.

Il ranch è rimasto a corto di un uomo, come visto la scorsa settimana, e Rip, seguendo il suggerimento del padre, ingaggia il misterioso Walker appena uscito di prigione…

Coming Home rappresenta la naturale evoluzione del precedente episodio che aveva saputo sapientemente evidenziare come il rapporto fra John Dutton e Kayce sarebbe stato l’elemento critico nello sviluppo delle vicende.

In questo senso Taylor Sheridan, come fatto sempre nel precedente episodio, evita quanto più possibile il confronto fra i due spostandolo dapprima su Monica e poi su Beth e Jaime. Se registicamente l’episodio indugia sulla prossemica degli attori in campo, quasi a volerne mostrare la loro “gerarchia”, è nella sceneggiatura che Sheridan si esalta “nascondendo” il cuore pulsante di questo episodio: “fa male diventare uomini, ma meglio dell’alternativa…”

E’ quindi il tema della crescita, della responsabilità e dell’efficacia dell’azione – temi tipicamente appartenenti alla letteratura di frontiera ma anche più in generali a quella americana – che la fanno da padrone in alcuni momenti tanto fulminei quanto abrasivi nel corso dell’episodio.

Coming Home funge benissimo da spartiacque fra la prima parte di stagione, contrassegnata da una solida costruzione dei personaggi e da un ottimo lavoro in termini di costruzione degli intrecci, ed una seconda che si preannuncia scoppiettante. Se si dovesse fare necessariamente una critica alla serie, a mio modo di vedere, bisognerebbe inserire in maniera più organica la componente più crime della storia alzando leggermente il ritmo.

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