Io, Dio e Bin Laden di Larry Charles | Recensione
Pubblicato il 29 Luglio 2018 alle 15:00
Arriva in Italia Io, Dio e Bin Laden, nuovo film con Nicolas Cage diretto dal regista di Borat.
L’ho già detto in passato e qui voglio ribadirlo: le coincidenze del cinema sono sempre molto, molto divertenti.
Qualche settimana fa con il suo 12 Soldiers Nicolai Fuglsig ci ha riportato indietro al, con precisione nell’Afghanistan del 2001, quando dodici uomini all’indomani dell’attentato del World Trade Center vennero inviati in Medio Oriente per vendicarsi di Al Qaeda. Poi, la settimana scorsa, siamo andati con Dwayne Johnson alias The Rock fino ad Hong Kong, dove il Nostro in Skyscraper sfidava dei terroristi brandendo una katana.
Bene. Oggi la distribuzione italiana tira fuori dal cilindro una produzione statunitense del 2016 che, per puro caso – magnifico – ha a che vedere nuovamente con Al Qaeda, la lotta al terrorismo, il Medio Oriente, gli Stati Uniti, una storia biografica e … le katane. Si, perché in Io, Dio e Bin Laden Nicolas Cage affronterà il barbuto leader dell’organizzazione terroristica a colpi di spada, come un vecchio samurai pronto alla sua ultima missione.
Non più 12 Strong, quindi, ma One Strong (il titolo originale è Army of One) e quello strong è senza dubbio Nic Cage, l’unico attore abbastanza folle e geniale e autoironico per poter imbarcarsi in un progetto così sconclusionato, un po’ picaresco e un po’ del tutto fuori di testa. Che, per altro, è tratto da una storia vera.
Stati Uniti, 2002: Gary Brooks Faulkner (Nic Cage) è un ex carcerato dalla parlantina sciolta che, ultracinquantenne, deve ancora trovare il suo posto nel mondo. Affetto da diabete e costretto a continui cicli di dialisi – pena forti e realistiche allucinazioni – Gary si barcamena tra il bar del quartiere, l’amore per Marci (una compagna del liceo appena rincontrata dopo una vita) e l’odio per il governo USA, incapace di mettere fine alla minaccia di Al Qaeda.
Un giorno Gary riceve la visita di Dio, che gli affida un’importante missione: andare in Pakistan e trovare Osama Bin Laden. Gary, naturalmente, accetterà.
Larry Charles (Seinfeld, Borat, Il Dittatore) realizza un’opera che definire zoppicante è dire poco, per lo più noiosa se non per qualche guizzo e soprattutto piena di difetti e con più buchi di un colabrodo, troppi per poter considerare riuscito il tentativo di raccontare una storia tratta da fatti realmente accaduti.
Tuttavia è proprio la consapevolezza di star assistendo ad una storia vera – mescolata ai toni satirici e psichedelici di cui Charles fa ampio uso dall’inizio alla fine – che fa funzionare quello che altrimenti sarebbe stato un film da buttare via. La guerra personale di Gary (interpretato da un Nicolas Cage che può divertirsi come e quanto vuole coi suoi toni sempre esagerati, qui perfettamente calzanti) diventa un’odissea intimissima e patetica, così patetica che ci lega a questo delirante individuo, a modo suo comunque affascinante.
La cosa più divertente di tutte è che nel corso dei suoi viaggi – si, perché farà avanti e indietro più e più volte, anche se non avendo un lavoro non si capisce bene dove trovi i soldi per finanziarsi – Gary non incontrerà nessuna persona cattiva, anzi farà amicizia con tantissimi pakistani e uscirà arricchito dall’esperienza. Ma non se ne accorgerà, tanto sarà impegnato ad ascoltare la voce di Dio nella sua mente, Dio che vuole fare di lui e solo di lui il suo nuovo crociato personale.
Per Larry Charles, dunque, religione e follia sono la stessa cosa, e portano sulla strada della guerra. Era impensabile che un film così imperfetto potesse nascondere un’anima tanto logica e un messaggio tanto chiaro.