Black Rock Stagione 1 Ep. 9-10 | Recensione

Pubblicato il 20 Luglio 2018 alle 10:00

Dopo due anni si conclude, con il decimo capitolo, il western soprannaturale di Dario Sicchio disponibile GRATUITAMENTE sulla piattaforma Wilder cliccando QUI.

Eccoci giunti alla fine di una delle serie più complesse e rarefatte marchiate Made in Italy degli ultimi anni, il western soprannaturale Black Rock già nominato agli scorsi Premi Micheluzzi come miglior webcomic, giunge alla sua conclusione con gli ultimi due capitoli, usciti rispettivamente a fine maggio e agli inizi di luglio, e che rappresentano il culmine di una serializzazione GRATUITA sulla piattaforma Wilder durante circa due anni.

Dopo essere stati introdotti nel mondo di Black Rock con i primi 5 capitoli – la nostra recensione QUI – la serie si era presa una lunga pausa salvo poi tornare con un filotto di 3 episodi prima della conclusione, la cui recensione trovate invece QUI.

Avevamo conosciuto il Villaggio, un luogo misterioso isolato da tutto e da tutti, dove le persone non hanno nome e vivono svolgendo il compito assegnato loro fin dalla nascita. Sul rispetto di questo ruolo si fondano l’equilibrio e la stabilità della comunità tutta, la cui autonomia si regge sulla totale collaborazione dei singoli individui. L’intera cittadina è circondata da un enorme cerchio di cenere, su cui vigila l’impenetrabile figura del Guardiano. Quest’uomo ha il compito di difendere gli abitanti del Villaggio dai pericoli che li assediano al di là della Frontiera, oltre la quale vivono Loro, esseri innominabili e divini che dimorano fra le evanescenti Montagne Nere.

Sono anni che Loro non si mostrano agli abitanti del Villaggio, ma di tanto in tanto inviano i Pellegrini, messaggeri che predicano il Verbo delle oscure entità nel tentativo di convincere gli abitanti a varcare il confine di cenere e passare dall’altra parte. Ma cosa c’è dall’altra parte?

Avevamo anche scoperto che il Guardiano aveva celato non solo la vera natura dell’accordo con Loro ma anche una gigantesca “bestia” che dimora, rinchiusa sottoterra, al centro del Villaggio. La genesi di questa enorme creatura era legata inoltre a quella dell’intero Villaggio.

Avevamo lasciato la serie con i Pellegrini che, dopo l’omicidio di uno di loro, chiedevano 10 anime, 10 sacrifici agli abitanti del Villaggio altrimenti avrebbero sostituito il tempo delle preghiere con quello degli Dei.

L’ultimatum aveva ovviamente gettato nel panico gli abitanti che si erano divisi fra coloro i quali volevano imbracciare le armi e combattere e chi invece voleva cercare una soluzione più razionale. Il precario equilibrio che faceva funzionare armoniosamente la vita nel Villaggio è stato, irrimediabilmente, spezzato.

I due capitoli finali viaggiano tesissimi. Il Guardiano aspetta che 10 abitanti si facciano avanti ma non sembra essere assolutamente pronto ad arrendersi a Loro. E infatti al momento di presentare il sacrifico un gesto estremo ci rivelerà la vera natura dei pellegrini, del Villaggio ma soprattutto segnerà il vero inizio dell’Era dell’Uomo.

Già con i 3 capitoli precedenti Dario Sicchio (Caput Mundi, Chiodotorto, Walter Dice) aveva iniziato a spostare il nucleo tematico della serie dalla domanda “cosa c’è dall’altra parte?” a “perché siamo dall’altra parte?” e con questi due capitoli finali abbandona il senso di inquietudine e sfrutta la concretezza degli episodi precedenti abbandonandosi ad una riflessione metafisica di indubbio spessore.

Nel confronto fra Il Guardiano e Lo Stilita è sotteso da una profonda riflessione sul valore delle azioni ma soprattutto sul concetto di fede e su quello di speranza. Sicchio mostra dapprima gli essere umani come estremamente fragili e poi come creatori del proprio destino. Pur in mezzo agli elementi soprannaturali è in realtà sempre stato l’Uomo protagonista della riflessione dell’autore: una scelta coraggiosa in una forma di narrazione, il fumetto in generale, da sempre più attento agli aspetti pi “super” o insoliti.

Jacopo Vanni, Pierluigi Minotti, Mattia Di Meo assecondano l’autore con tratto sicuro ma che si fa quasi psichedelico ricordando, soprattutto nell’ultimo capitolo, il Kirby più onirico degli anni ’70. Puntuale è poi l’apporto ai colori di Francesco Segala che fa scontrare materici rossi, arancioni e marroni con neri profondi e blu/azzurri eterei. Sempre eccezionale il lavoro al lettering di Maria Letizia Mirabella.

Black Rock si conferma una serie coraggiosa che si è evoluta in maniera personalissima rispetto alle suggestioni iniziali, non risultando mai banale ma anzi collocandosi a metà strada fra un fumetto di genere di stampo anglosassone e quello più intimista di matrice italiana.

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