Intervista a Spartaco Albertarelli | BGeek 2018
Pubblicato il 28 Giugno 2018 alle 19:30
Oltre al piacere di intervistare Sabaku No Maiku, al BGeek 2018 abbiamo avuto la possibilità di intervistare, insieme ai ragazzi di Radio Frequenza Libera, Spartaco Albertarelli, celebre autore di giochi da tavolo conosciuto per essere stato il primo responsabile editoriale per la versione in lingua italiana di Dungeons & Dragons e per aver creato giochi come FutuRisiko! e SPQRisiko!
Spartaco Albertarelli è un autore i cui giochi sono stati tradotti in diverse lingue, nonché l’uomo che ha portato qui da noi in Italia i manuali di Dungeon’s & Dragons. Ciò che colpisce di lui sono la sua incredibile passione per il suo lavoro e la sua affabilità, gentilezza e simpatia. Vi proponiamo qui la nostra intervista, nella quale Spartaco Albertarelli ci ha anche parlato di VektoRace, la sua nuova fatica di cui era presente un prototipo giocabile al BGeek 2018 e che abbiamo provato per voi.
MF: Tu sei stato la figura che ha portato in Italia il gioco di ruolo Dungeons & Dragons. Vorrei chiederti quali sia stata la tua esperienza nel mondo del gaming da tavolo e di ruolo agli inizi degli anni ’90.
SA: Intanto, un saluto a tutti. Io di mestiere faccio il game designer, che tradotto in italiano vuol dire che mi guadagno da vivere inventando giochi. Io ho lavorato nel mondo del gioco da molti anni, e più o meno una trentina abbondante di anni fa ho iniziato a occuparmi di giochi. Fra le varie cose che ho fatto, avendo iniziato facendo traduzioni di giochi di vario genere che arrivavano dagli Stati Uniti, quindi lavorando su prodotti principalmente americani che venivano importati in Italia, quindi facendo le prime localizzazioni, come si direbbe oggi, mi è capitato di mettere le mani anche su Dungeons & Dragons, che poi è diventato per molti anni il mio lavoro quotidiano, nel senso che io ho iniziato a lavorare per Editrice Giochi, che era la casa editrice italiana dell’epoca che distribuiva Dungeons & Dragons, e quindi sono passato dal lavoro di traduzione che facevo con Giovanni Ingellis, altro personaggio storico che tutti gli appassionati di gioco di ruolo conoscono. Ho iniziato con lui facendo le traduzioni, poi sono diventato il responsabile editoriale di Dungeons & Dragons e per una decina di anni me ne sono occupato, non facendo solamente quello, nel senso che il mio lavoro era più legato al mondo del gioco da tavolo più in generale. Dungeons & Dragons era in quel momento un titolo molto importante che veniva gestito direttamente dalla casa editrice per la quale lavoravo, e quindi per dieci anni sono stato il responsabile di Dungeons & Dragons. Poi alcune cose sono cambiate a livello contrattuale, le questioni sono cambiate e i diritti sono passati ad altri e quindi io ho continuato invece a occuparmi di giochi da tavolo, che è il mio mestiere.
MF: Fra i giochi da tavolo di cui ti sei occupato, c’è anche la localizzazione di Risiko! Inoltre, sei il creatore di altre versioni del gioco, come FutuRisiko! e SPQRisiko! Quale è stata la tua esperienza con questi giochi?
SA: Io ho avuto la grande fortuna, nella mia vita, di iniziare a lavorare da subito per Editrice Giochi, che all’epoca era la principale casa editrice in Italia, e quindi ho messo mano sui grandi classici: sono stato il responsabile, il product manager, come si direbbe, di Risiko!, ma anche di Monopoli, di Scarabeo e delle versioni in scatola dei giochi televisivi, se ricordate “La Zingara” o “La Luna Nera”, ecco, quello l’ho fatto io. È stata una esperienza estremamente interessante perché chiaramente si arriva a fare il mio mestiere in primo luogo perché si è grandi appassionati di giochi. Naturalmente, “appassionato di giochi” vuol dire amante di giochi assurdi che nessuno vorrebbe fare, così in qualche modo mi sono trovato in qualche modo proiettato dall’altra parte della barricata, e lì ho un po’ imparato una grande lezione che mi è risultata molto utile anche dopo: alla fine, non conta il gioco, ma contano i giocatori, quindi, se vuoi fare il mio mestiere, non devi considerare nessun gioco migliore degli altri o peggiore degli altri. I giochi sono giochi, ci sono persone che si siedono attorno a un tavolo e si divertono, e per quelle persone noi lavoriamo, cercando di ottenere il massimo possibile dal divertimento di quella serata. E Risiko! per esempio è il classico gioco amato e odiato, perché gli appassionati di Risiko! giocano solo a Risiko! e gli altri considerano Risiko! una specie di male da debellare, e sono due atteggiamenti entrambi sbagliati, nel senso che giocare sempre allo stesso gioco vuol dire perdersi le migliaia di possibilità che, oggi soprattutto, all’epoca meno, ma oggi abbiamo davvero una quantità di possibilità incredibile, e demonizzare un gioco che viene giocato da milioni di persone semplicemente perché non ti piace magari perché ci sono tanti dadi, vuol dire non capire proprio esattamente come stanno le cose. Cioè, giocare è giocare, poi Risiko! è quasi sempre il punto di partenza per poi arrivare a fare delle cose magari anche molto più articolate, complesse, ricche di soddisfazioni, con delle meccaniche di gioco super sofisticate, però da qualche parte bisogna partire, e Risiko! ha il grande pregio che tutti lo conoscono, cioè se io prendo un “carroarmatino”, esco fuori e lo faccio vedere alla prima signora che passa con la borsa della spesa e le chiedo: “Che cos’è?”, mi dice: “Risiko!“. Se invece prendo un altro pezzo di un gioco meraviglioso e glielo faccio vedere, mi dirà che è solo un pezzo di legno, cioè non sa che cosa è, quindi è ovvio che un gioco come Risiko! è stato importante. Poi, ho avuto la fortuna di poter realizzare tutte le edizioni, quindi dall’edizione a torneo, SPQRisiko!, FutuRisiko! e un po’ tutta l’evoluzione del brand, come dicono quelli bravi, che è stata di mia competenza per tantissimi anni.
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MF: Ora vorrei chiederti, visto che ne abbiamo parlato già prima, qualcosa della tua formazione umanistica, anche perché non è molto usuale che una persona con una formazione di questo tipo scelga di fare un mestiere in cui rientrano molto i calcoli, la matematica e altri concetti che di solito sono lontani dal nostro mondo. Dunque vorrei chiederti come ti sei avvicinato al mondo del gioco dal tuo mondo umanistico.
SA: Intanto, la prima cosa da dire è che il mio è l’unico mestiere al mondo che non richiede di essere imparato, perché chiunque può diventare un game designer, chiunque può inventare un gioco, e per un motivo moto semplice, cioè che lo abbiamo fatto tutti, quindi tutti abbiamo inventato giochi, tutti noi siamo cresciuti inventando giochi. Quindi in realtà la preparazione che uno ha è molto relativa, perché così come un bambino riesce a realizzare dei giochi bellissimi senza avere alcuna competenza di matematica, e allora ecco che anche uno come me, che in matematica non ha alcuna competenza specifica, può divertirsi non solo a lavorare con i numeri, ma addirittura trovarsi in circostanze, come mi è capitato, di fare lezioni di matematica a professori di matematica usando giochi all’interno dei quali magari ci possono essere dei trick matematici che non sono poi così immediatamente comprensibili, nemmeno per un professore di matematica. Ma la realtà è che è vero che ci sono moltissimi giochi hanno una base molto geometrica e matematica, poi prima noi abbiamo provato un gioco (VektoRace, N.d.R.) che è tutto basato sulla matematica, però la verità è che il motivo principale per il quale noi giochiamo è che partecipiamo a una esperienza che ha quasi sempre, e ora arriva un’altra parolaccia terribile, uno storytelling, una parola che oggi va molto di moda, cioè un racconto, una narrazione del gioco che è spesso più importante delle regole. Quindi in realtà i miei studi umanistici mi sono stati molto utili, intanto per sapere che da sempre noi continuiamo a riscrivere l’Iliade e l’Odissea, cioè il percorso dell’eroe, il racconto, la teoria della scrittura creativa e tutte queste cose in realtà si ritrovano molto nei giochi, perché alla fine i giochi sono delle storie; poi hanno delle regole, e quindi quelle regole chiaramente finiscono per essere delle regole con una base matematica, ma se uno li va a guardare, è la base di matematico di un bambino delle elementari, cioè non c’è bisogno di un astrofisico per inventare un gioco. Quindi tutto sommato, in realtà, i miei studi, la mia estrazione umanistica, come hai detto giustamente, da un certo punto di vista probabilmente mi è stata più di aiuto, perché la parte matematica e quello che mi mancava della matematica le ho potute colmare. Non sono un matematico, però ho imparato a usare i numeri mentre una preparazione di tipo umanistico dopo viene più difficile acquisirla: certi riferimenti, la conoscenza del mondo delle fiabe, che è una cosa molto umanistica, e che è la base del racconto, alla fine li si ritrovano sempre di più, fra l’altro, nei giochi, perché sono sempre più strumenti di narrazione che non, come erano magari una volta, semplici meccanismi, quindi in realtà mi è stato tutto sommato d’aiuto.
MF: Questo è un bel messaggio per chi magari non sa come avviene il processo di creazione di un gioco, e allora magari qualcuno potrebbe pensare che sia necessaria una certa preparazione in ambito scientifico e matematico per poter elaborarne le regole, ma invece ci stai dicendo che “si può fare”, si può creare un gioco.
SA: “Si può fare”, sì, sì! Friedrich von Frankenstein (Albertarelli ha chiaramente colto la mia citazione di una battuta del film Frankenstein Jr., N.d.R.). Sì, si può fare, e la bella notizia è che non bisogna essere il nipote del dottor Frankenstein per diventare il nuovo dottor Frankenstein. Basta essere stati bambini almeno una volta nella vita, e credo che sia una esperienza abbastanza comune, e cercare semplicemente di ricordarsi cosa si faceva allora. Alla fine, è sempre un “facciamo che”: facciamo che io tiro il dado in un certo modo, facciamo che muovo la mia pedina. Alla fine, è l’eterno, meraviglioso, divertente “facciamo che”. E quindi sì, chiunque lo può fare, veramente, non esistono trucchi particolari o scuole o studi da fare. Poi, naturalmente è un mestiere, e se lo vuoi far diventare un mestiere, come tutti i mestieri di questo mondo, richiede lavoro, impegno, serietà, ma, di fatto, per partire se vuoi domani mattina, potresti fare tu il gioco più bello del mondo e nessuno te lo può impedire, neppure io che vorrei farlo ovviamente al posto tuo!
Proseguite la lettura alla pagina successiva, per scoprire come si svolge il processo creativo dietro i giochi di Spartaco Albertarelli e alcuni dettagli su VektoRace, il suo nuovo gioco di cui abbiamo provato per la voi il prototipo al BGeek 2018!
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MF: Ora vorrei parlare un po’ del tuo ultimo gioco che hai portato al BGeek e che si può provare liberamente qui: come hai avuto l’idea di creare una sorta di gioco da tavolo, però con le automobili in cui è anche possibile creare un circuito. È una idea che trovo molto intrigante!
SA: Intanto diciamo che il gioco si chiama VektoRace, e già dal titolo si capisce di che cosa si tratta, cioè, e qui torniamo al punto di prima, è una corsa a base vettoriale.
MF: Io l’ho capito oggi che vuol dire!
SA: Vedi? Per esempio, questa è una cosa molto carina: attraverso un giochino, tu hai acquisito una conoscenza che magari prima non avevi. Adesso magari domani diventerai la più grande esperta di vettori del mondo, manderai satelliti sulla Luna grazie al movimento vettoriale, al mantenimento del moto e a tutte queste cose bellissime, e tutto questo…
MF: Grazie a te!
SA: No, grazie a una macchinina di carta! Perché torniamo al punto di prima: in realtà questo gioco, che certamente non è il primo gioco sulle corse automobilistiche, è un giochino un po’ particolare, perché anziché avere il solito piano con il solito Monza o Monte Carlo, questo è un gioco che si può giocare su qualunque superficie e che utilizza appunto un movimento vettoriale per le macchine, che hanno, quindi, queste traiettorie un po’ particolari, come diciamo noi, che siamo persone di una certa serietà, le Formula 8, che sono le nostre macchine, viaggiano a velocità straordinarie, ma curvano di merda! Per cui il concetto è che devi fare molta attenzione, perché arrivi sempre un po’ troppo veloce alla curva successiva, e scopri che le nostre macchinine, appunto, quando c’è da accelerare sono una meraviglia, ma quando c’è da curvare le vorresti prendere a calci. È un po’ come guidare un ferro da stiro, sostanzialmente. Però la realtà è che questo gioco, che appunto ha una base geometrica e che nasce molto tempo fa e che ho nel cassetto da tanti anni, poi diventa quello che avete giocato nel momento in cui incontro una persona che si chiama Davide Ghelfi e che mi fa molto piacere citare tutte le volte che posso, anche perché è di fatto il coautore del gioco, e che è anche il designer delle macchinine, cioè è lui che ha inventato queste macchinine. Fra l’altro, lui fa anche un gioco che si chiama Papecarz che è assolutamente meraviglioso, che è una simulazione anche lì automobilistica, tipo le corse americane, ed è tutto fato di modellini da montare e incollare in carta, e quindi se vuoi è una cosa un po’ vintage, come si dice oggi, per dire che è una cosa un po’ in vecchio stile, dato che io sono tutt’altro che un ragazzino. Mi sono ispirato a un vecchio gioco che facevamo a scuola con carta e matita e che era basato esattamente sul movimento vettoriale e che venne pubblicato nella metà degli anni ’60 da Martin Gardner, che è un famoso matematico appassionato di giochi, e quindi noi giocavamo a quel gioco con carta e matita proprio perché era sorprendentemente interessante, però era un giochino carta e matita, e quindi finiva lì. Io ho sempre avuto in testa quel meccanismo di gioco e ho sempre pensato al modo per trasformarlo in un gioco da tavolo, e ci ho lavorato anni sopra, ho fatto prove di ogni tipo, e la vera verità è che il gioco che avete provato diventa divertente nel momento in cui ci sono le macchinine, per cui torniamo al punto di prima: quello che ti piace di quel gioco, sì, certamente è il meccanismo, perché è un meccanismo che non prevede la fortuna, quindi se sei uno che odia i dadi, per esempio, è perfetto, perché il gioco finisce sempre in base alle tue scelte, alle tue mosse, però la verità è che ci sono delle meravigliose macchinine di carta da montare, quindi tu stai correndo con le macchinine; lo stai facendo con una certa classe, ma il fatto è che stai correndo con le macchinine, il che ci riporta al discorso di prima su che cosa è il gioco e che cosa è il game design. Alla fine in quel gioco sono importanti il racconto, la macchinina che è fatta in una certa maniera e che appunto curva male, più che il gioco e la simulazione in quanto tale, quindi è proprio un esempio, se vuoi, di scuola di come si possa realizzare un gioco che spero sia divertente basandosi su dei meccanismi magari estremamente semplici, ma sopratutto su una narrazione di quello che è il gioco.
MF: Un’ultima domanda: data la tua esperienza in questo campo, vorrei chiederti quanto, secondo te, in un gioco da tavolo è importante il tema?
SA: Per me è fondamentale, nel senso che esistono diverse scuole di pensiero: esiste una scuola di game design che parte dalla meccanica e poi arriva, se vuoi, alla parte più estetica, che viene magari costruita dopo. Cioè, ho un regolamento molto bello, molto solido, profondo e che mi permette di fare scelte, quindi un bellissimo meccanismo di gioco, ma come lo ambientiamo questo gioco? Pirati, vichinghi, gli antichi egizi, sotto il mare, eccetera, cioè si va a cercare un vestito per raccontare la storia dopo aver creato il gioco. Per me è più importante, anzi, è un parallelismo, perché le due cose si muovono in contemporanea, però io non riesco a creare un meccanismo con l’idea che poi penserò al “vestito”, quindi per me, nel momento in cui faccio provare un gioco a qualcuno, io devo raccontare una storia, è proprio più forte di me, non posso dirgli semplicemente: “Muoviamo questi pezzi, poi vediamo che cosa metterci sopra”. Per me quei pezzi devono rappresentare qualche cosa, cioè ti devo coinvolgere emotivamente con una storia, che non deve essere niente di particolarmente originale, non è che uno per forza si deve inventare Avatar, però una ambientazione per me è molto importante, perché io penso che tutti noi giochiamo per fare i bambini, e quindi i bambini simulano qualche cosa, per cui facciamo che io sono in grado di volare con il mio drago, per cui ci sono in questo caso i draghi, che volano in una maniera diversa rispetto a un elicottero e rispetto a una zanzara, e quindi nel momento in cui io ti dico che il gioco è basato sui draghi volanti, in qualche modo il drago volante si porta dietro le regole, che devono essere coerenti con quel suo essere drago volante. Sempre parlando del gioco che abbiamo provato, in realtà con quel gioco io ho anche fatto diverse ambientazioni, però alla fine le macchine sono quella giusta. Quindi, quando abbiamo deciso di fare le macchine e non, per dire, le barche a vela, il regolamento è cambiato, perché da quel momento in avanti quella era diventata la storia che volevamo raccontare, e nel momento in cui abbiamo deciso che quella era la storia che volevamo raccontare, e che nasceva da queste macchinine di carta che sono belle da vedere, le regole hanno dovuto seguire quella narrazione, quella storia, quella ambientazione che avevamo cercato. Quindi per me è assolutamente fondamentale l’aspetto narrativo, e quindi l’ambientazione del gioco.
MF: Possiamo confermare che le macchinine sono assolutamente bellissime e che ci si sente anche un po’ bambini nel giocarci; è stata una grande esperienza anche poter giocare a VektoRace con il suo creatore, che ci spiegava passo passo dove sbagliavamo e cosa invece facevamo correttamente.
SA: L’amico Davide ne sarà felicissimo, glielo riferirò!
MF: Ringrazio di cuore Spartaco per la sua disponibilità estrema nei nostri confronti e per la sua grande simpatia. È stato davvero un piacere conoscerti, alla prossima, addio!
SA: È stato un grande piacere. Beh, “addio”, speriamo di superare la notte almeno! Un saluto anche a voi, e continuate a giocare, che è la cosa più bella del mondo. Ciao!